sabato 2 novembre 2013

GONGYO E DAIMOKU

giovedì 24 ottobre 2013

IL DAIMOKU : QUANTO,COME E PERCHE'

«Non c'è felicità più grande per gli esseri umani che recitare Nam-myoho-renge-kyo. Il sutra afferma: "Le persone lì (nella mia terra) sono felici e a loro agio". Felici e a loro agio sta a indicare la gioia che deriva dalla Legge» (SND, 4, 157). Con queste parole inizia il Gosho Felicità in questo mondo, e non sono pochi coloro che ne hanno tratto un grande incoraggiamento nei momenti difficili. Come i semi del grano sotto la neve, anche il nostro Daimoku a volte sembra non sortire alcun effetto e vediamo soltanto la neve sui campi senza accorgerci che il seme si sta preparando a germogliare: quando sarà il momento giusto, piccole foglioline verdi si affacceranno dal terreno e in estate avremo il nostro raccolto. «Un albero spoglio non è mai veramente spoglio - scrive il Daishonin - perché all'arrivo della primavera si ricopre di gemme. Un campo brullo non è mai veramente tale, infatti con l'arrivo dell'estate tornerà fresco e verde» (SND, 7, 90). È quindi importante stabilizzare la nostra pratica recitando una base costante di Daimoku, pronti a incrementarlo quando ne sentiamo l'esigenza o le circostanze lo richiedono, senza mai lasciarci scoraggiare quando le cose sembrano andare troppo male nè esaltare quando sembra andare tutto per il meglio. Ma sul Daimoku le domande potrebbero essere molte: quanto recitarne, come recitarlo, a cosa pensare mentre recitiamo... ad alcune di esse tenteremo di dare una risposta, premettendo però che non bisogna fidarsi troppo delle regoline preconfezionate ma imparare ad ascoltare anche il proprio cuore, che in definitiva rimane uno dei nostri migliori maestri. Che domanda difficile! Quale consiglio dare a chi ci rivolge una domanda del genere? Una possibile risposta potrebbe essere di recitare Daimoku finché non ci si sente soddisfatti, ma è pur vero che vi sono momenti in cui andiamo davanti al Gohonzon sentendoci "già" soddisfatti e altri in cui dopo molte ore di Daimoku avvertiamo ancora dentro di noi la sofferenza che ci aveva spinto a recitare. Di sicuro, come detto prima, è importante mantenere una quantità di Daimoku quotidiana che, in prima approssimazione, di solito si usa indicare in un'ora al giorno. Ma, in ultima analisi, nessuno è miglior giudice di noi stessi: ciascuno, attraverso l'esperienza, arriva a capire la quantità di Daimoku che gli permette di mantenere una condizione vitale elevata nel corso di tutta la giornata. Da questo deriva direttamente un consiglio che era molto frequente udire da Eiichi Yamazaki, il precedente responsabile europeo della SGI: recitare più Daimoku possibile alla mattina. Fa parte del comune buon senso non sacrificare alla recitazione del Daimoku nessuna delle cose importanti della nostra vita: il lavoro e la famiglia innanzi tutto, ma anche le relazioni sociali, le amicizie, le proprie passioni. Nessuno dovrebbe mai diventare un "professionista della fede". Può accadere, però, che quello che ci troviamo ad affrontare richieda un impegno nella recitazione molto maggiore del normale; di fronte a un grave problema, a una situazione apparentemente senza via d'uscita, può essere necessario rinunciare - o meglio, rimandare a tempi più adatti - tutta una serie di attività collaterali importanti, ma non essenziali. Ricordandoci, però, che una situazione eccezionale non può rappresentare la norma. Come recitare Daimoku? Recitare Daimoku non significa implorare qualcuno di concederci qualcosa né significa lamentarsi o piangerci addosso per le nostre presenti circostanze. Il Daishonin rivolge a Shijo Kingo queste parole: «[Marishiten] ti ha reso abile nel maneggiare la spada, mentre Nichiren ti ha donato i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo» (SND, 4, 194). E in un'altra lettera: «La potente spada del Sutra del Loto deve essere brandita da un coraggioso nella fede» (SND, 4, 150). Analogie che non lasciano spazio a interpretazioni: più che a una noiosa litania, il nostro Daimoku dovrebbe ricordare una spada leggera, robusta e affilata con la quale affrontare coraggiosamente la vita. E non è neanche necessario porsi davanti al Gohonzon in una posizione subordinata: d'accordo, siamo comuni mortali con le nostre debolezze e i nostri difetti, ma il Daishonin ammonisce: «...se reciti e credi in Myoho-renge-kyo, ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica ma un insegnamento imperfetto [...] quando invochi la Legge e reciti il Sutra del Loto, devi essere profondamente convinto che Myoho-renge-kyo è la tua stessa vita» (SND, 4, 4). E ancora: «Non cercare mai questo Gohonzon al di fuori di te» (SND, 4, 203). Daisaku Ikeda suggerisce di recitare con il ritmo di un cavallo al galoppo, un'immagine ricca di potenza, leggerezza e armonia, e dice che il nostro Daimoku dovrebbe generare gioia in chi ascolta. E cosa dire dei pensieri? Non è sempre facile avere ben chiari i nostri obiettivi durante la recitazione: spesso andiamo davanti al Gohonzon non per chiedere qualcosa, ma semplicemente per capire cosa vogliamo. E anche quando siamo certi di quello che desideriamo, chi ci garantisce che il nostro desiderio sia dettato dalla natura di Budda e non dal nostro stesso karma? Non importa, recitando Daimoku - sinceramente, non per pura formalità - attiviamo il Budda dentro di noi e lui conosce la risposta e spesso questa è migliore di quella che avremmo immaginato, anche se magari un po' diversa. Non dobbiamo neanche preoccuparci troppo se, mentre tentiamo di concentrarci, molti pensieri affollano la nostra mente distogliendoci dallo scopo della nostra recitazione: quando ce ne rendiamo conto tentiamo di ritrovare la concentrazione. Josei Toda insegnava che un "esercizio" di questo genere ci porterà naturalmente a imparare a concentrarci sul Go­honzon. Per cosa recitare Daimoku? Quali sono infine gli obiettivi "degni" di essere portati davanti al Gohonzon? Qualunque obiettivo va bene, dice ancora Daisaku Ikeda nei dialoghi con i giovani raccolti nei due volumi I protagonisti del XXI secolo (Ed. Esperia). Andando avanti, anche la qualità del desiderio tenderà naturalmente a evolversi e i nostri obiettivi saranno sempre più vicini a quelli ai quali il Budda Shakyamuni, Nichiren Daishonin e moltissimi loro discepoli hanno dedicato la vita. La parte del sedicesimo capitolo del Sutra del Loto che recitiamo ogni giorno, Jigage, termina con queste parole: «Questo è il mio pensiero costante: / come posso far sì che tutti gli esseri viventi / accedano alla via suprema / e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda». Non è necessario né utile far finta di avere nobili ideali se nel cuore non li sentiamo "nostri", ma approfondendo la fede, la pratica e lo studio possiamo cominciare a percepire che l'obiettivo di kosen-rufu racchiude in sé anche ogni nostro desiderio, come un milione di euro contiene anche un singolo euro, che pensare di poter diventare felici indipendentemente dall'ambiente che ci circonda è una pura illusione, come insegna Nichiren quando scrive: «Se vi preoccupate anche solo un po' della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l'ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quartieri del paese» (SND, 1, 43). Per questo motivo si dice che la pratica si compone di "pratica per sé" e "pratica per gli altri", e sempre per questo motivo la Soka Gakkai, in accordo con l'insegnamento del Daishonin, insegna che shakubuku, ovvero introdurre altre persone al Buddismo, dovrebbe essere una parte integrante della pratica quotidiana. Questo, però, sarà argomento per altri articoli. a cura di Stefano Niccoli (SITO I.B.I.G)

martedì 22 ottobre 2013

PRINCIPI FONDAMENTALI

Nam-myoho-renge-kyo a cura di Alessandra Fornasiero La recitazione di Nam-myoho-renge-kyo è la pratica buddista istituita dal Daishonin per condurre tutte le persone all'Illuminazione. Dopo aver approfondito le diverse scuole buddiste dell'epoca alla luce della verità alla quale egli stesso si era risvegliato, Nichiren giunse alla conclusione che l'unico insegnamento in grado di far ottenere la Buddità alle persone comuni nell'Ultimo giorno della Legge era contenuto nel Sutra del Loto. Il 28 aprile del 1253 proclamò per la prima volta la grande Legge di Nam-Myoho-renge-kyo di fronte a una piccola folla di persone riunite al tempio Seicho-ji. Da quel giorno la sua vita fu una lotta impavida per propagarne i sette caratteri, attraverso un succedersi ininterrotto di difficoltà e persecuzioni. Ne Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, inviato due anni dopo a un suo discepolo, Nichiren Daishonin scrive: «Se vuoi liberarti dalle sofferenze di nascita e morte che sopporti dal tempo senza inizio e ottenere sicuramente la suprema Illuminazione in questa esistenza, devi cogliere la mistica verità che è originariamente inerente a tutti gli esseri viventi. Questa verità è Myoho-renge-kyo. Di conseguenza recitare Myoho-renge-kyo ti permetterà di cogliere questa mistica verità innata in tutti gli esseri viventi» (RSND, 1, 3; cfr. SND, 4, 3). "Liberarsi dalle sofferenze di nascita e morte sopportate dal tempo senza inizio" è la questione centrale dell'esistenza umana e lo scopo originario di ogni religione. L'insegnamento istituito dal Daishonin si distacca da quelli precedenti perché rivela all'interno della vita dell'individuo l'illimitato potere per risolvere tutte le sofferenze al livello fondamentale. Il nome della Legge Il primo passo compiuto dal Daishonin per aprire questo grande sentiero dell'Illuminazione fu di "chiamare per nome" la Legge mistica. Per far sì che le persone potessero percepire e concretizzare nella propria vita la «mistica verità innata in tutti gli esseri viventi», Nichiren le diede il nome di Myoho-renge-kyo. Myoho-renge-kyo è il titolo in cinese del Sutra del Loto, ma il Daishonin fu il primo a identificarlo come l'essenza del sutra stesso, il nome del "vero aspetto di tutti i fenomeni" al quale il Budda si era illuminato. «Myo è il nome dato alla misteriosa natura della vita e ho quello attribuito alle sue manifestazioni. Renge, che significa fiore di loto, simboleggia la meraviglia e il mistero di questa Legge» (Ibidem, 4). Comprendere che la nostra vita, in ogni istante, è myo, continua Nichiren, «è il mistico kyo, o sutra». Il passo successivo fu di istituire la pratica del Daimoku (che significa recitare il titolo o essenza di un sutra) facendo precedere alla verità universale di Myoho-renge-kyo la parola nam (una variante fonetica di namu), che significa "dedicare la propria vita a". Secondo il Daishonin, recitare ad alta voce Nam-myoho-renge-kyo rappresenta dunque la determinazione e il voto di dedicare la propria vita alla verità della Legge fondamentale di Myoho-renge-kyo, cioè di vivere basandosi su di essa. La natura di Budda dell'universo Spiega Nichiren Daishonin: «Quando veneriamo Myoho-renge-kyo che è nella nostra vita come oggetto di culto, la natura di Budda che è in noi viene richiamata dalla nostra recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e si manifesta. Questo si intende per "Budda". Per fare un esempio, quando un uccello in gabbia canta, gli uccelli che volano liberi nel cielo sono richiamati e si radunano intorno a lui. E quando gli uccelli che volano nel cielo si radunano, l'uccello in gabbia cerca di uscir fuori» (Come coloro che inizialmente aspirano alla via..., RSND, 1, 789; cfr. SND, 8, 34). Quando la nostra voce recita Nam-myoho-renge-kyo collega la nostra vita con la Legge mistica che pervade tutti i fenomeni dei tremila regni, e ha il potere di richiamare la natura di Budda presente in tutti gli esseri viventi. «Perciò - scrive Nichiren - quando recitiamo una volta Myoho-renge-kyo, con questo singolo suono richiamiamo e manifestiamo la natura di Budda [...] di tutte le esistenze, [...] di tutte le divinità [...] il sole, la luna e le miriadi di stelle, [...] di tutti gli abitanti dell'inferno, degli spiriti affamati, animali, asura, esseri umani e celesti e di tutti gli altri esseri viventi. Questo è un beneficio immenso, incalcolabile» (Ibidem). Illusione e Illuminazione La pratica istituita dal Daishonin non contempla il culto di una divinità esterna all'essere umano, ma fornisce il mezzo concreto per mettere in grado ogni persona di manifestare la propria natura illuminata così com'è, nell'esistenza presente. Non si tratta quindi di raggiungere l'Illuminazione in un lontano futuro, ma di intraprendere una lotta interiore costante, attimo dopo attimo, fra le due alternative di rivelare la nostra innata natura illuminata oppure farsi dominare dall'oscurità fondamentale e dall'illusione: «Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall'oscurità innata è come uno specchio appannato che però, una volta lucidato, sicuramente diverrà chiaro e rifletterà la natura essenziale di tutti i fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo» (Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 4; cfr. SND, 4, 5). Questo sforzo costante di perfezionare la nostra vita costituisce il nucleo essenziale della pratica buddista insegnata dal Daishonin. Per spiegare questo punto il presidente Ikeda distingue due differenti aspetti del Daimoku: il Daimoku della fede e il Daimoku della pratica. «Il primo riguarda l'aspetto spirituale della nostra pratica e consiste essenzialmente nella battaglia che ha luogo nel nostro cuore per contrastare la nostra condizione interiore illusa, od oscurità. È una lotta contro le forze negativee distruttive interiori per aprire un varco nell'oscurità che avvolge la natura di Budda e far emergere la condizione vitale di Buddità grazie al potere della fede. Il Daimoku della pratica riguarda invece l'azione specifica di recitare Nam-myoho-renge-kyo e di insegnarlo agli altri, gli sforzi che compiamo, con le parole e con le azioni, per la nostra felicità e per quella degli altri, che sono la dimostrazione tangibile della nostra battaglia interiore contro l'illusione e la negatività interne» (Buddismo e società, n. 119, p. 15). Non cercare mai la Legge al di fuori di te Infine, l'avvertimento più importante del Daishonin rispetto all'ottenimento dell'Illuminazione mediante la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo riguarda il fatto che non dobbiamo mai considerare la Legge come qualcosa di esterno a noi perché, in tal caso, regrediremmo a quella divisione fra Budda e persone comuni che si trova negli insegnamenti precedenti al Sutra del Loto. «Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-renge-kyo ma pensi che la Legge sia al di fuori di te stai abbracciando non la Legge mistica ma un insegnamento inferiore» ammonisce il Daishonin (RSND, 1, 3; cfr. SND, 4, 4). "Insegnamenti inferiori" sono quelli che non conducono all'Illuminazione, neanche praticando vita dopo vita per l'eternità. Raggiungere la Buddità in questa esistenza sarebbe dunque impossibile: «Perciò, quando invochi myoho e reciti renge devi sforzarti di credere profondamente che Myoho-renge-kyo è la tua vita stessa» (Ibidem). Ricercare la Legge mistica al di fuori di noi equivale a evadere dalla responsabilità della nostra vita. Per esempio, se recitiamo Daimoku ma ci lamentiamo o accusiamo sempre gli altri o il nostro ambiente per ciò che ci accade, stiamo evitando la sfida di affrontare la nostra oscurità interiore, e così facendo ricerchiamo l'Illuminazione al di fuori di noi. Il Daishonin spiega che non possiamo raggiungere l'Illuminazione senza un cambiamento nella nostra vita, al livello del nostro cuore o mente. Per quanto difficile possa apparire la circostanza che ci troviamo ad affrontare, essa non è che un riflesso della nostra vita interiore. Solo cambiando noi stessi a un livello più profondo possiamo iniziare a migliorare la nostra situazione. Josei Toda soleva dire: «Dovete essere pienamente convinti che Nam-myoho-renge-kyo è la vostra vita stessa!»; e poi: «Propagare la Legge mistica nell'Ultimo giorno significa credere fermamente che la vostra vita non è altro che Nam-myoyho-renge-kyo!». Ognuno ha dentro di sé il potere di cambiare, e quando comprendiamo questa verità possiamo fare emergere tale potere in qualunque luogo, momento o situazione. Qualsiasi ostacolo incontriamo nel corso della nostra pratica non dovremmo mai arretrare di un solo passo, non dovremmo esserne spaventati o sorpresi. È importante coltivare nel cuore una profonda fiducia nel fatto che il potere della Legge mistica, Myoho-renge-kyo, può trionfare su tutto. (SITO I.B.I.S.G.)

martedì 15 ottobre 2013

LA DURATA DELLA VITA E IL VOTO DEL BODHISATTVA

La tradizione Buddista offre, in linea di massima, due prospettive per comprendere il concetto di durata della vita. Da un certo punto di vista tutto, dalla nascita alla morte, viene determinato dal karma, cioè dagli effetti delle cause poste nell’esistenze passate e in quella presente. Ne consegue che se una vita virtuosa crea le condizioni per rinascere in circostanze favorevoli e godere di una vita lunga e felice, azioni distruttive o dannose diminuiscono la vitalità, abbreviando il tempo in cui un essere umano può godere della vita. Molte scuole buddiste perseguono il fine di purificarsi dal karma per sfuggire al ciclo di nascita e morte, perché la nascita in questo mondo impuro è considerata di per sé una forma di sofferenza. Secondo un altro punto di vista, la vera gioia non consiste semplicemente nell’essere in grado di evitare o sfuggire alle sofferenze, bensì nell’aiutare gli altri a liberarsi dalle proprie. In altre parole, il valore più grande nella vita si trova nel desiderio di vivere e adoperarsi per il bene degli altri. Il Buddismo chiama questo desiderio “il voto del Bodhisattva”, ed è questa la motivazione che determina il corso e la natura stessa di una vita. Il voto del Bodhisattva può essere descritto come l’impulso originale della vita. La pratica Buddista ci consente di “ricordare” questo voto e di imprimerlo nella nostra vita ancor più profondamente. Il sedicesimo capitolo del Sutra del Loto “Durata della vita”, alcuni brani del quale vengono recitati ogni giorno dai membri della Soka Gakkai di tutto il mondo, chiarisce come la natura di Budda – la legge universale o dharma alla quale il Budda si risvegliò – sia inerente a tutti gli esseri viventi. Questa natura di Budda è l’essenza della vita stessa e risvegliarsi ad essa vuol dire risvegliarsi alla natura eterna della vita. In quest’ottica, la nostra essenza originale è pura e incontaminata, ma noi assumiamo consapevolmente un karma negativo scegliendo di nascere in circostanze difficili. Così, affrontando e superando svariate prove sia sul piano fisico sia su quello psicologico, i bodhisattva riescono a dare speranza agli altri esseri umani. Mostrando la prova del potere intrinseco di superare tali difficoltà, essi aprono una strada che anche altri possono seguire. Proprio per questo, saranno in grado di offrire un reale sostegno a chi si trova in difficoltà simili alle loro. Così, in ogni esistenza, i bodhisattva si risvegliamo nuovamente al loro voto originale e abbracciano gioiosamente qualunque prova si presenti. Grazie a questa consapevolezza, la vita si trasforma da ciclo di sofferenza in missione. Attraverso tale consapevolezza, persino una vita breve può creare un valore grande e duraturo nella vita delle persone con le quali è interconnessa. Per esempio, la morte precoce di un bambino può ispirare i genitori a riflettere profondamente, e infine imprimere un significato più profondo alla loro esistenza. Il valore di una vita, quindi, non dipende semplicemente dalla sua durata temporale, ma dall'impegno rivolto alla propria e alla felicità degli altri. Piuttosto che un semplice convincimento intellettuale, questo risveglio alla natura eterna della nostra vita può essere percepito come un senso di fiducia profonda, con cui affrontiamo le sfide che inevitabilmente e costantemente si presentano. Tale consapevolezza non ci solleva dalla difficile realtà di vita e morte, ma permette di affrontarla con coraggio e fiducia sempre nuovi. Come insegna Nichiren Daishonin: saremo in grado di ripetere il ciclo di vita e morte sul terreno sicuro della nostra intrinseca natura illuminata. Credere nella natura eterna dell'esistenza non vuol dire che la nostra esistenza presente perda di significato, al contrario il Buddismo la considera estremamente unica e preziosa e insegna che dobbiamo sforzarci di vivere il più a lungo possibile. Ogni nuovo giorno deve rappresentare un’opportunità per contribuire alla società e vivere in modo nobile. Ed è proprio quando ci dedichiamo a questo ideale che possiamo conferire dignità al nostro essere “umani”, allungare la durata della vita e godere dell’esistenza più soddisfacente e significativa possibile. (dalla rivista SGI Quarterly Ottobre 2012)

martedì 8 ottobre 2013

SANGE

Si può fare sange prima, poi si recita Daimoku oppure durante le preghiere silenziose (esattamente la 4° preghiera silenziosa) quando fai Gongyo. RICONOSCENZA DAL PROFONDO DEL CUORE * per avere incontrato il Gohonzon * per essere capace di cambiare il mio karma * per essere vivo in questo momento * per tutte le persone che mi circondano * per tutte le cose che sono insegnamento per me REALIZZAZIONE PERSONALE * sii consapevole che per ogni causa esterna c'è prima una causa interna * sii consapevole che per ogni rabbia, frustrazione, colpa, irritazione e situazione che ti capita la responsabilità è tua * il tuo karma ha fatto sì che succedesse e che loro si comportassero così: cambia il veleno in medicina * sii cosciente dei tuoi "pasticcii" interiori che hanno provocato tale esperienza in te * tu soltanto sei responsabile di alzare il tuo stato vitale CHIEDERE SCUSA COL CUORE * per le continue offese alla legge * prega il Gohonzon di non lasciartelo fare più * recita altruisticamente per il benessere delle persone e chiedi al Gohonzon: cosa posso fare per migliorare la situazione ? DETERMINAZIONE * impegnati di più per Kosen Rufu * crea valore nell'ambiente in cui vivi, famigliare, lavorativo e nell'attività buddista * soltanto dopo aver recitato daimoku per quanto detto sopra, recita per i tuoi desideri e aspirazioni, per cosa vuoi cambiare o realizzare nella tua vita.

mercoledì 2 ottobre 2013

CHI E' UN BUDDA

Nell’immaginario collettivo il termine “Budda” evoca spesso l’immagine di un essere sovrumano, sereno, lontano dalle cose terrene, che – attraverso la meditazione – è entrato nello stato di “nirvana”, una condizione che gli permetterà di fuggire dalle continue sofferenze del mondo, frutto di illusioni e desideri umani. Questa immagine non riflette la vera realtà della vita di Shakyamuni, il fondatore del Buddismo che visse in India circa 2500 anni fa. Egli fu un essere umano dotato di profonda compassione che aveva rifiutato gli eccessi dell’ascetismo e dell’attaccamento ai desideri, che aveva costanti contatti con le persone e che voleva che tutti condividessero la verità alla quale si era illuminato. Il significato di “Budda” è “Illuminato” (letteralmente in sanscrito “risvegliato”), o “colui che è illuminato alla realtà ultima”. Con una certa approssimazione possiamo definire Illuminazione come la condizione di completa consapevolezza e saggezza, attraverso cui la verità profonda della vita nella sua complessità può essere completamente compresa e apprezzata. Qualsiasi essere umano risvegliato a essa può essere chiamato Budda. Molte scuole buddiste, però, hanno insegnato che si può arrivare all’Illuminazione solo dopo un difficile e straordinariamente lungo processo condotto vita dopo vita. Al contrario, il Sutra del Loto – considerato l’ultimo e più alto insegnamento di Shakyamuni – spiega che la Buddità è già potenzialmente presente in tutte le vite. Questa scrittura sostiene la più assoluta uguaglianza tra gli esseri umani, sottolineando che persino nella vita di una persona in apparenza dominata da numerosi aspetti negativi esiste il gioiello grezzo della natura di Budda. Questa non ci è concessa da nessuno né esiste qualcuno che possa giudicare se la “meritiamo” o meno. Come l’oro nascosto in una borsa sporca, o i fiori del loto che sbocciano da uno stagno fangoso, dobbiamo prima di tutto credere nell’esistenza della nostra natura di Budda, quindi risvegliarla e svilupparla, o – per usare un termine del Daishonin “lucidarla”. Nel Buddismo di Nichiren questo processo si realizza attraverso la fede e la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, la Legge mistica contenuta nel Sutra del Loto. La Buddità, però, non è una condizione statica alla quale si arriva e dove ci si può adagiare una volta per sempre, ma è un’esperienza dinamica: un percorso caratterizzato da continuo sviluppo e scoperta. Man mano che questa condizione viene rafforzata si diventa sempre meno governati dall’egoismo, dalla collera e dalla stupidità (i “tre veleni”) e aumenta la capacità di cambiare completamente se stessi e uscire indenni anche dalle peggiori tempeste. Quando siamo illuminati alla vera e immutabile natura della vita universale possiamo cavalcare gioiosamente le onde delle difficoltà, creando valore a partire da qualsiasi situazione. In questo modo fiorisce il nostro “vero io” e riusciamo a trovare dentro di noi infinite riserve di coraggio, compassione, saggezza e forza vitale. Ci accorgiamo di diventare più attivi e sentiamo crescere una profonda libertà interiore. Inoltre, sperimentando un sentimento di crescente unione con l’universo, svanisce quel senso d’isolamento e alienazione esistenziale che provoca sofferenza. Diminuisce il nostro attaccamento al “piccolo io” egoistico e alle differenze, e si sviluppa sempre più la consapevolezza dei profondi legami reciproci con tutte le altre forme di vita. Gradualmente la nostra esistenza si apre agli altri, e cominciamo a desiderare anche la loro felicità. È facile credere che tutti possediamo gli stati più bassi descritti negli insegnamenti buddisti (Inferno, Avidità, Animalità, Collera), ma è molto più difficile credere che possediamo la Buddità. La lotta per sviluppare e rafforzare sempre più questo stato nella nostra vita comporta sempre dei grandi risultati: scrive Daisaku Ikeda: «[La Buddità] è la gioia delle gioie. Nascita, vecchiaia, malattia e morte cessano di essere sofferenze, diventando parte della gioia di vivere. La luce della saggezza illumina l’intero universo, respingendo l’innata oscurità della vita. Lo spazio vitale del Budda si unisce e si fonde con l’universo. Il nostro io diventa l’universo stesso, e in un singolo istante il flusso vitale si espande fino ad abbracciare tutto ciò che è passato e tutto ciò che sarà in futuro. In ogni momento del presente, l’eterna forza vitale dell’universo si riversa come una gigantesca fonte di energia». (SITO I.B.I.S.G)

martedì 1 ottobre 2013

LA SIMULTANEITA' DI CAUSA ED EFFETTO

Il Buddismo – in generale – insegna che la legge di causa ed effetto sottende il funzionamento di tutti i fenomeni. Pensieri, parole e azioni positive creano effetti positivi e portano alla felicità. D’altro canto pensieri, parole e azioni negative, ovvero tutto ciò che in qualche modo offende la dignità della vita, conducono all’infelicità. Questo – in estrema sintesi – è il principio generale del karma. Negli insegnamenti buddisti precedenti al Sutra del Loto, la pratica religiosa è vista come un percorso di cambiamento graduale. Partendo da una condizione fondamentalmente imperfetta, il comune mortale – attraverso sforzi diligenti per accumulare cause positive ed evitare quelle negative – compie un processo di trasformazione della propria vita indirizzandola verso uno stato di perfezione assoluta: la Buddità. Nichiren Daishonin, partendo da quanto viene rivelato nel Sutra del Loto, insegna che il conseguimento della Buddità è invece governato da una causalità più profonda che offre una visione radicalmente diversa dell’essere umano e del conseguimento della Buddità. In tale prospettiva, illusione e Illuminazione – il comune mortale e il Budda – sono due manifestazioni della vita, che di per sé è neutra. Anche se la condizione umana “di base” è intrisa di illusione, manifestare la Buddità non richiede un mutamento fondamentale di tale natura; in effetti la convinzione stessa che la Buddità sia in qualche modo lontana dalla realtà quotidiana è di per sé un’illusione. La differenza fra gli insegnamenti precedenti e quelli successivi al Sutra del Loto può essere chiarita ulteriormente grazie alla teoria dei Dieci mondi. Questo principio descrive il nostro stato vitale interiore in ogni istante definendolo in base a uno dei dieci mondi, da quello pieno di sofferenza dell’Inferno a quello pieno di gioia della Buddità; si può passare da un mondo a un altro a seconda della direzione che noi stessi imprimiamo alla nostra esistenza e in base a come rispondiamo agli stimoli dell’ambiente. Negli insegnamenti predicati da Shakyamuni prima del Sutra del Loto, i comuni mortali portano avanti la loro pratica nei nove mondi (causa) e alla fine ottengono la Buddità (effetto). I nove mondi spariscono per essere sostituiti dal mondo di Buddità. Il Sutra del Loto, invece, chiarisce che la Buddità e i nove mondi sono perfettamente inerenti alla vita in qualsiasi momento, e che il mondo di Buddità si manifesta attraverso la fede e la pratica buddista. La differenza fra questi due punti di vista si può illustrare attraverso un’analogia con i video game. Nella visione più “antica” del processo di Illuminazione è come se il protagonista del video game (il comune mortale), attraverso i vari stadi di avanzamento del gioco, accumulasse sempre più poteri e capacità. Nell’ottica del Sutra del Loto, al contrario, il “giocatore” è già in possesso, sin dall’inizio, di tutti i poteri possibili: ha soltanto bisogno di un mezzo per dischiuderli e dispiegarli. La pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin permette proprio questo, di manifestare la Buddità qui e ora, nella vita quotidiana. In quest’ottica, la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo con fede nella propria inerente natura di Budda può essere paragonata all’utilizzo di un codice che permette di accedere al potenziale della Buddità. Facendo emergere la nostra natura illuminata – le cui caratteristiche sono: coraggio, compassione e forza vitale – ci “attrezziamo” per affrontare al meglio le sfide e i problemi della vita quotidiana, per trasformare la realtà e dare concretezza alla nostra Illuminazione. Sfide e problemi, in tal senso, diventano uno strumento per dimostrare la forza e la realtà della nostra natura illuminata e per ispirare gli altri a seguire lo stesso cammino. Il Buddismo ci permette di vivere sempre nel momento presente, sviluppando una grande fiducia la cui componente chiave è la fede nella natura illuminata inerente alla vita stessa. Questa prospettiva rivoluzionaria del conseguimento della Buddità si esprime nel concetto di simultaneità di causa ed effetto. I nove mondi, che rappresentano la causa, e il mondo di Buddità, che rappresenta l’effetto, esistono simultaneamente nelle nostre vite. Ciò è simboleggiato dal loto, che presenta contemporaneamente sia i fiori (metafora del comune mortale) sia i frutti (metafora della Buddità). Quando manifestiamo piena fiducia nella nostra innata natura di Budda e nella capacità di trasformare e trionfare su qualunque tipo di sofferenza, i problemi diventano sfide da accogliere, piuttosto che da evitare. Questo senso di fiducia e determinazione di fronte alle difficoltà diventa esso stesso una manifestazione della Buddità che, in accordo col principio di causa ed effetto, assicura la felicità nella vita. (sito I.B.I.S.G.)
(dalla rivista SGI Quarterly aprile 2013)

giovedì 26 settembre 2013

IL VALORE DELLA DIVERSITA'

Qual è il modo migliore per vivere in un mondo così ricco di differenze? Mai questione è stata più attuale di questa. Per sopravvivere è necessario trovare un modo per conciliare visioni del mondo e sistemi di valori diversi tra loro. I contatti e le interazioni tra le più diverse tradizioni culturali del mondo sono infatti inevitabili, e risposte come quella di ritirarsi e isolarsi nel proprio ambiente ristretto o di uniformarsi a una serie di valori imposti dalle potenze economiche e tecnologiche sono assolutamente inadeguate. Come possiamo imparare a vivere senza sentirci minacciati dalla diversità? O a comunicare efficacemente con chi ha una visione e comprensione del mondo diversa dalla nostra? La diversità può innescare conflitti e violenza, ma anche generare reciproca creatività e progresso. Come è possibile realizzare la seconda opzione? Il presidente della Soka Gakkai Internazionale (Sgi) Daisaku Ikeda ha scritto a questo proposito: «L’insegnamento del Budda ha inizio col riconoscimento della diversità umana. […] L’umanesimo del Sutra del Loto deriva dal principio di valorizzazione dell’individuo». Secondo il Buddismo, ogni singolo essere vivente è una manifestazione unica della verità fondamentale, e dal momento che ogni persona manifesta questa verità nel suo carattere unico e peculiare, ognuno di noi rappresenta un aspetto prezioso e indispensabile dell’universo vivente. Nelle sue scritture, Nichiren Daishonin usa la metafora di diversi alberi in fiore – il ciliegio, il susino etc. – per esprimere questo principio. Ogni fiore ha un suo modo unico e sue speciali caratteristiche per manifestarsi: tali caratteristiche, insieme, creano uno straordinario ritratto stagionale di vitalità e bellezza. Nichiren descrive questo come "manifestare la propria vera natura" (in giapponese: jitai kensho). Nel Buddismo di Nichiren Daishonin, Illuminazione non significa cambiare se stessi per diventare ciò che non si è: piuttosto si tratta di coltivare le qualità positive che già possediamo. Più precisamente, attraverso la saggezza e la vitalità che riusciamo a sviluppare, possiamo fare in modo che le particolari caratteristiche che formano la nostra personalità servano a creare valore e felicità per noi stessi e per gli altri. La qualità dell’impazienza, per esempio, può essere fonte di irritazione e attrito, ma anche diventare una forte spinta per un’azione pronta ed efficace. Al centro di tutto c’è il principio che ogni persona e ogni essere vivente sono una manifestazione unica e irripetibile della forza vitale dell’universo. Partendo da questo punto di vista, ogni individuo è valutato per le sue infinite possibilità, per la sua dignità e il suo valore intrinseco e inviolabile. Ma le distinzioni di genere, etnia, ambiente culturale o religioso, etc. – rapportate al tesoro supremo e universale della vita che tutti noi condividiamo – hanno un valore limitato. Man mano che questa consapevolezza aumenta si impara a trasformare e a superare gli attaccamenti alle differenze, e anche la paura e i conflitti che ne possono derivare. Così come ogni individuo ha una personalità unica e uniche esperienze di vita, ogni cultura può essere considerata una manifestazione della creatività e della saggezza cosmica. Dunque, poiché il Buddismo rifiuta qualsiasi ordine gerarchico tra gli esseri umani, adotta un atteggiamento di fondamentale rispetto anche verso tutte le culture e tradizioni.

mercoledì 25 settembre 2013

RISSHO ANKOKU:ASSICURARE LA PACE A TUTTE LE PERSONE

l Buddismo ha un’idea della vita fondamentalmente positiva. Il suo messaggio centrale è che ogni individuo possiede una dignità e un potenziale infiniti. Nel Sutra del Loto, la scrittura riconosciuta nella tradizione di Nichiren come il più completo e importante insegnamento di Shakyamuni, viene usata l’immagine di un’imponente torre ingioiellata per illustrare la bellezza, la dignità e la preziosità della vita stessa. Se comprendiamo profondamente che la vita umana è il più prezioso di tutti i tesori, allora saremo in grado di valorizzare la nostra vita e quella degli altri. Da questa prospettiva risulta chiaro che la guerra, come estremo sopruso e crudeltà verso gli esseri umani, è totalmente e assolutamente da rigettare, e la pace dovrebbe essere il nostro obiettivo costante. Se la società abbracciasse questa visione del valore della vita, prevenire la violenza e dedicarsi ad alleviare ogni forma di sofferenza diventerebbero le priorità assolute del genere umano, anziché l’accumulo di ricchezza e potere. Tutti quelli che si occupano di allevare, educare, curare e sostenere la vita – genitori, infermieri, medici e insegnanti – verrebbe trattati col massimo rispetto. Ma la maledizione dell’umanità sta nell’incapacità di apprezzare e credere pienamente nel valore della propria vita e di quella degli altri. E anche se lo si accetta in teoria, è estremamente difficile metterlo in pratica quotidianamente. Quando ci imbattiamo in un amaro conflitto interpersonale possiamo ancora sentire in noi il veleno della gelosia e dell’odio, e il desiderio di far del male a qualcuno o che, in qualche modo, “sparisca”. La trasformazione interiore La costituzione dell’UNESCO stabilisce che «dal momento che la guerra comincia nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che bisogna costruire la pace». Allo stesso modo, il Buddismo pone l’accento sul fatto che solo una trasformazione interiore delle nostre vite, al livello più profondo, può rendere la nostra compassione più forte del desiderio egoistico di vincere sugli altri o di usarli per i nostri fini, e ci offre l’insegnamento e il mezzo che ci permettono di compiere questo tipo di trasformazione radicale. Il Buddismo vede la vita come una lotta fra le forze del bene e quelle del male. Per bene qui si intende la natura creativa e compassionevole inerente a tutte le persone, e il desiderio di essere felici e di aiutare gli altri nella ricerca della felicità. Si definisce invece male ciò che divide e spezza il nostro senso di interconnessione, spingendoci verso una competizione mossa dalla paura che ci fa usare e dominare gli altri prima che possano farlo loro. Nel Giappone del XIII sec., durante la vita di Nichiren, una serie di disastri naturali – terremoti, alluvioni, pestilenze e incendi – avevano devastato il paese. Le sofferenze della gente comune erano enormi. Nichiren era fermamente determinato a trovare la causa fondamentale di tutta questa infelicità, e per questo studiò e analizzò a fondo le credenze sulle quali si strutturava la società del tempo. Era consapevole che sebbene il paese proliferasse di templi e di preti buddisti, in qualche modo le loro preghiere non riuscivano a realizzare pace e sicurezza per la gente. Egli sentì che il disordine evidente nel mondo rifletteva il disordine che regnava all’interno degli esseri umani. La carestia sopravviene a causa dell’avidità, la pestilenza come risultato della stupidità e la guerra come risultato della collera. Nichiren era convinto che solo il Buddismo potesse fornire alla gente la forza per superare nel corso della loro vita questi veleni spirituali ma, come risultato di uno studio ad ampio raggio, egli concluse che il Buddismo, così come veniva praticato ai suoi tempi, stava incoraggiando una passività che rendeva le persone vulnerabili all’influenza di questi veleni piuttosto che dare loro la spinta per superarli. La felicità nel presente Nichiren rigettò chiaramente la convinzione prevalente che tutto ciò che il Buddismo poteva offrire fosse la speranza di un conforto dopo la morte, e che l’atteggiamento migliore da tenere verso la vita fosse quello di una paziente sopportazione. Egli credeva appassionatamente che il Buddismo, come insegnato all’inizio, avesse ben altro da offrire: la possibilità di ottenere felicità e realizzazione nell’esistenza presente, dando alla gente la forza per trasformare la stessa società in una terra ideale e pacifica. Il trattato più importante di Nichiren, intitolato Rissho Ankoku Ron, letteralmente Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, presentato al reggente politico del tempo nel luglio 1260, fu un richiamo appassionato a ritornare all’intento originale del Buddismo – assicurare la pace e la felicità della gente. Una funzione chiave dei preti del tempo era quella di pregare per la protezione dei governanti della nazione. In contrasto, il punto focale di Nichiren erano i cittadini comuni. Nel Rissho Ankoku Ron, per esempio, per scrivere la parola “paese” scelse il carattere cinese che ha al centro l’ideogramma che significa “gente comune”, piuttosto che quello solitamente usato che mostra il re nel suo dominio, o la protezione armata del dominio. In un certo senso, la preoccupazione di Nichiren si potrebbe definire come ciò che ora si intende con “la sicurezza dell’essere umano”. Come il presidente della SGI Daisaku Ikeda ha recentemente dichiarato in un’analisi di questo trattato «nel passato, “sicurezza” implicava soltanto la sicurezza della nazione… Ma di che genere di sicurezza si tratta se, mentre lo stato è protetto, la dignità e la vita dei singoli cittadini vengono minacciate? Attualmente, la visione prevalente di sicurezza non è più incentrata sullo stato ma piuttosto sull’essere umano». Nichiren comincia il suo trattato descrivendo il disordine che vedeva intorno a sé. «Più della metà della popolazione è stata falciata dalla morte e non c’è una persona che non pianga almeno un lutto in famiglia» (RSND, 1, 6). La sua prima motivazione era una straziante empatia per le sofferenze della gente. Egli aveva fatto voto di condurre se stesso e gli altri all’illuminazione, e questo voleva dire lottare per risvegliare e incoraggiare le persone ad affrontare il loro destino. La sua schietta determinazione gli fece guadagnare una reputazione controversa che persiste ai nostri giorni. «Non posso tacere – scrisse – non posso nascondere i miei timori» (RSND, 1, 7). In termini di azioni concrete, Nichiren incitava i politici del tempo a smettere di proteggere ufficialmente o favorire le sette e ad aprire pubblici dibattiti in merito alle diverse scuole di Buddismo. A livello personale, chiamò i governanti «a cambiare i princìpi su cui si basa il vostro cuore» (RSND, 1, 26). In termini odierni ciò significa trasformare noi stessi e le nostre convinzioni più radicate circa la natura della vita. Una filosofia di pace Commentando la natura di questa trasformazione, il Presidente dell’SGI Daisaku Ikeda dice: "Ciò che conta è che lo spirito della grande filosofia di pace esposta nel Sutra del Loto (con il suo insegnamento che tutte le persone sono Budda) pervada l’intera società. A livello sociale, ‘stabilire l’insegnamento corretto’ vuol dire stabilire i concetti della dignità e della santità della vita umana come i principi che reggono e muovono la società.” Molti oggi vivono con un senso di confusione, vuoto e disperazione. Si sentono impotenti a operare cambiamenti, sia nella loro vita che nella società. L’idealismo è equiparato a ingenuità, e il cinismo serve a coprire la mancanza di speranza. Il disprezzo della vita umana alimenta violenza e sfruttamento. La funzione di qualsiasi religione o filosofia dovrebbe essere di dare alle persone il coraggio e la speranza necessari per trasformare le loro sofferenze. Abbiamo bisogno di sviluppare la forza necessaria per intraprendere con successo la lotta contro le forze distruttive e disgreganti che pervadono noi stessi e la società. A meno che non abbiamo come scopo l’empowerment (restituire speranza e dignità) per noi stessi e per gli altri, non saremo capaci di superare le influenze negative nella nostra vita e nell’ambiente. Per creare un’epoca di pace, in cui alla vita viene riconosciuto un valore supremo, è vitale per noi abbracciare una filosofia che riveli la meraviglia, la dignità e l’infinito potenziale della vita stessa. Quando basiamo le nostre azioni su questa convinzione e agiamo mossi dalla compassione per gli altri, il risultato è pura gioia, che ci motiva a fare di più. Rafforzandoci dall’interno, la nostra sfera di compassione diventa sempre più grande, includendo non soltanto noi stessi, la nostra famiglia e la nazione, ma l’umanità intera. Sviluppiamo la saggezza e la compassione per rifiutare e contrastare tutto ciò che danneggia o svilisce la vita. In questo modo potremo ottenere un senso interiore di sicurezza e allo stesso tempo una società pacifica che metta al primo posto la protezione delle persone più vulnerabili.

LE TRE GRANDI LEGGI SEGRETE

(Giapp: sandai-hiho): le dottrine fondamentali dell’insegnamento di Nichiren Daishonin. Esse sono l’oggetto dell’insegnamento originale, il daimoku dell’insegnamento originale e il santuario dell’insegnamento originale. Qui “insegnamento originale” si riferisce all’insegnamento di Nam myoho renge kyo e non all’insegnamento originale del Sutra del Loto, ovvero ai suoi ultimi quattordici capitoli. Nichiren (1222-1282) stabilì tre principi essenziali per permettere alle persone dell’Ultimo giorno della Legge di conseguire la Buddità. Essi sono chiamati segreti perché sono impliciti nel testo del capitolo Durata della vita del Tathagata (il sedicesimo) del Sutra del Loto e rimasero nascosti o sconosciuti finché Nichiren non li rivelò. Nichiren li considerava insegnamenti di importanza vitale che il Budda Shakyamuni trasmise al bodhisattva Pratiche Superiori nel capitolo Poteri sovrannaturali del Tathagata (il ventunesimo) del sutra. Egli considerava la propria missione la stessa del bodhisattva Pratiche Superiori. Le tre grandi leggi segrete rappresentano la comprensione di Nichiren della Legge mistica cui si era illuminato, in una forma che tutte le persone potessero praticare e grazie alla quale guadagnare l’accesso alla Buddità inerente alla proprio vita. Egli associava le tre grandi Leggi segrete ai tre tipi di insegnamento formulati nel Buddismo: precetti, meditazione e saggezza. Specificatamente, l’oggetto di culto corrisponde alla meditazione (dhyana), il santuario ai precetti (shila) e il daimoku alla saggezza (prajna). Riguardo ai tre tipi di insegnamento basati sul Sutra del Loto, Dengyo (767-822) nel suo Domande e risposte per gli studenti della scuola Tendai del Loto sostiene: «il precetto immutabile come lo spazio vuoto, la meditazione immutabile come lo spazio vuoto e la saggezza immutabile come lo spazio vuoto: tutti e tre sono trasmessi sotto lo stesso nome di ‘Legge meravigliosa’». I tre tipi di apprendimento basati sul Sutra del Loto sono detti ‘come lo spazio vuoto’ e ‘immutabili’ perchè come lo spazio vuoto, che rappresenta la realtà assoluta (vacuità) sono immutabili. Nikko, il successore di Nichiren, affermava che negli insegnamenti di Nichiren l’oggetto di culto corrisponde alla meditazione immutabile come lo spazio vuoto e il daimoku alla saggezza immutabile come lo spazio vuoto, il santuario al precetto immutabile come lo spazio vuoto e il daimoku alla saggezza immutabile come lo spazio vuoto. Nichiren menziona le tre grandi Leggi segrete in diversi suoi scritti (tutti datati dopo la sua tentata esecuzione a Tatsunokuchi e il conseguente esilio sull’isola di Sado nel 1271) e in opera conosciuta come Le tre grandi Leggi segrete, che ne offre una definizione dettagliata. Il cuore delle tre grandi Leggi segrete è l’unica grande Legge segreta. Essa è l’oggetto di culto dell’insegnamento originale, o la concretizzazione operata da Nichiren in forma di mandala dell’eterna Legge di Nam myoho renge kyo, che egli comprese pienamente e che manifestò nella propria vita. Egli scrive nella Persona e la Legge «nella mia carne mortale, custodisco gelosamente la Legge segreta fondamentale ereditata dal Budda Shakyamuni sul Picco dell’aquila».(SND, vol. IV, pag. 282) Poiché abbracciare questo oggetto di culto chiamato Gohonzon è il solo precetto dell’insegnamento di Nichiren, il luogo in cui esso viene conservato corrisponde al luogo in cui si pronunciano i voti di osservanza dei precetti buddisti, ovvero il palco per l’ordinazione, o santuario, dell’insegnamento originale. Il termine precetto nel Buddismo implica prevenire l’errore e porre fine al male. Il daimoku dell’insegnamento originale indica l’invocazione o la recitazione di Nam myoho renge kyo con fede nell’oggetto di culto; include la recitazione del daimoku per sé e l’insegnarlo agli altri. In questo modo, sia i santuario sia il daimoku derivano dall’oggetto di culto. In seguito Nichikan (1665-1726), ventiseiesimo patriarca del tempio Taiseki, classificò le tre grandi leggi segrete come le sei grandi Leggi segrete. La prima è l’oggetto di culto considerato secondo la Persona e secondo la Legge. La persona indica Nichiren stesso, che realizzò l’illuminazione e le virtù del Budda originale e che fondò il Buddismo della semina per tutte le persone dell’Ultimo giorno della Legge. L’oggetto di culto nei termini della Legge è il Gohonzon, che materializza la Legge di Nam myoho renge kyo. La seconda, il santuario, ha due aspetti, il santuario specifico e quello generale. Il primo santuario che dovrà essere costruito al tempo di kosen rufu, o ampia propagazione, in accordo con le istruzioni di Nichiren. Questo è il luogo in cui l’oggetto di culto che Nichiren iscrisse per tutto il genere umano (comunemente conosciuto come Dai Gohonzon) dovrà essere conservato quando il suo insegnamento sarà stato ampiamente diffuso e si sarà consolidato. Il santuario generale è il luogo in cui si conserva l’oggetto di culto e ci si impegna nella pratica. Anche la terza Legge segreta, il daimoku dell’insegnamento originale, ha due aspetti: il daimoku della fede e il daimoku della pratica. Il primo significa aver fede nel Gohonzon, il secondo recitare daimoku e diffonderne la pratica. Secondo lo scritto di Nichikan Interpretare il testo (del Sutra del Loto) basandosi sul suo significato essenziale, le sei grandi Leggi segrete sono considerate la concretizzazione della totalità degli ottantaquattromila insegnamenti del Budda, le tre grandi Leggi segrete sono la concretizzazione delle sei grandi Leggi segrete e l’unica grande Legge segreta è la concretizzazione delle tre grandi Leggi segrete. (dal Dizionario di Buddismo, Esperia edizioni, p. 885)

lunedì 23 settembre 2013

LE RIUNIONI DI DISCUSSIONE

Il dialogo, l’interazione e la discussione sono sempre stati alla base del processo attraverso il quale le persone possono approfondire e apprezzare sempre di più il Buddismo. Le grandi assemblee possono essere un mezzo efficace per trasmettere le notizie, e anche la stampa e altri media possono fornire una fonte d’informazione e d’ispirazione importante, ma questi canali di comunicazione corrono il rischio di diventare a senso unico. Nell’ambito dei movimenti religiosi in particolare, è probabile che attraverso comunicazioni di questo tipo, perfino con le migliori intenzioni, prima o poi si instauri una dinamica gerarchica fra chi insegna e chi apprende, con il risultato di una de-responsabilizzazione dei credenti che cominciano ad appoggiarsi ai loro leader o insegnanti. Se la vera missione della religione è quella di rendere le persone in grado di gioire della felicità più grande, allora diventa fondamentale sforzarsi al massimo per evitare tali conseguenze. Le discussioni in piccoli gruppi forniscono l’occasione per porre domande, per esporre e chiarire i dubbi. È un processo di apprendimento condiviso, che funziona a patto che tutti i partecipanti si sentano veramente a proprio agio. Dalla prospettiva dell’umanesimo buddista, la verità non è prerogativa esclusiva di un gruppo selezionato o di un singolo individuo. Piuttosto, la verità è qualcosa cui tutti hanno egualmente accesso, perché si scopre attraverso le battaglie intraprese con i nostri compagni di fede e viene trasmessa e condivisa attraverso una rete, in continua espansione, di connessioni empatiche fra le persone. Tali interazioni, basate sull’eguaglianza, sono il crogiolo nel quale si forgia l’umanità. Nichiren (1222-82), il riformatore buddista i cui insegnamenti ispirano le attività della SGI, valorizzò questa forma di studio e di dialogo. Dai suoi scritti è chiaro che i suoi discepoli s’incontravano regolarmente per studiare un gran numero di testi buddisti. Nichiren considerava cruciali queste discussioni per la trasmissione corretta del suo intento. Una sua lettera, scritta durante una dura persecuzione, inizia con queste parole: «Tutti coloro che aspirano alla via dovrebbero riunirsi insieme e ascoltare il contenuto di questa lettera» (Lettera da Teradomari, RSND, 1, 179). Le riunioni di discussione in piccoli gruppi sono state il fondamento della Soka Gakkai fin dal 1930. Il presidente fondatore Tsunesaburo Makiguchi viaggiò in tutto il Giappone per partecipare a queste riunioni, presenziando a qualcosa come duecentoquaranta piccoli gruppi di discussione durante gli ultimi due anni di vita, nonostante la libertà di religione fosse stata soppressa dal governo militarista del tempo. Al giorno d’oggi le riunioni di discussione sono tenute in ogni angolo del globo, generalmente a cadenza mensile. La grande maggioranza di esse si svolge nelle case dei membri, che vengono messe a disposizione per questo scopo. I partecipanti sono donne e uomini, bambini e persone di ogni grado di cultura e di livello sociale. Le riunioni sono tenute principalmente su base territoriale e danno alle persone l’opportunità di sviluppare quel tipo di relazioni che sono sempre più rare nell’ambito contemporaneo urbano – dove si può vivere per anni come vicini di casa senza aver sviluppato alcun legame personale. Le riunioni di discussione sono aperte a tutti e riuniscono persone che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione d’incontrarsi, in una società come la nostra divisa da linee visibili e invisibili. Chiunque, inclusi i bambini, o chi ha difficoltà a parlare davanti agli altri, viene incoraggiato a offrire la propria reazione o il proprio commento. Lo scambio di esperienze di fede – la trasformazione nella vita delle persone realizzata attraverso la pratica buddista – è un elemento centrale nelle riunioni di discussione. Non c’è forse niente di più incoraggiante, per chi sta lottando con i più svariati problemi, dell’esempio di altri che hanno affrontato e superato con successo le loro stesse prove. Le riunioni più riuscite sono quelle che traboccano di un brillante spirito d’incoraggiamento reciproco. Un altro aspetto importante è lo studio del Buddismo, uno o più individui possono presentare un concetto o un tema che fornirà lo spunto per ulteriori discussioni. Chiunque sia interessato ad approfondire il Buddismo, viene incoraggiato a commentare o a fare domande. Il presidente della SGI Daisaku Ikeda ha descritto il significato delle moderne riunioni di discussione in questi termini: «La cultura della gente comune, capace di rialzarsi con vitalità e apertura mentale, si trova nella reciprocità e nello scambio di una voce con un’altra voce, nell’incontrarsi nella propria cruda umanità, nel contatto da vita a vita. La società contemporanea è sommersa di aride informazioni, è per questo che la condivisione di una lingua viva, le voci reali della gente, possono dare un contributo cruciale allo stato di salute della società». (SITO I.B.I.S.G.)

domenica 22 settembre 2013

L' ILLUMINAZIONE DELLE DONNE

In alcuni sutra buddisti precedenti il Sutra del Loto era scritto che le donne non potevano ottenere la Buddità: «Anche se gli occhi dei Budda delle tre esistenze dovessero cadere al suolo – recita un sutra – nessuna donna di alcun regno dell’esistenza potrebbe mai ottenere la Buddità». Questa era la visione sulle donne che prevaleva nell’India del quinto secolo a.C.: venivano considerate più o meno proprietà dei loro mariti. Si dice, tuttavia, che in risposta alle richieste di una zia e di altre donne, Shakyamuni permise loro di diventare monache e di condurre una pratica monastica dopo aver stabilito otto regole che avrebbero dovuto seguire. Secondo Hajime Nakamura, studioso della cultura indiana: «L’apparire (nel Buddismo) di un ordine di monache fu un’evoluzione straordinaria nella storia del mondo religioso. A quell’epoca non esistevano analoghi ordini religiosi femminili in Europa, né in Nord Africa, o in tutta l’Asia. Il Buddismo fu la prima cultura a produrne uno». Nei secoli seguenti, però, cominciarono a riaffermarsi opinioni differenti sulle donne, e s’instaurò la credenza che, per ottenere la Buddità, le donne dovessero rinascere come uomini, conducendo continue e gravose pratiche. In questo modo l’ordine di monastico femminile declinò fino quasi a scomparire. Nichiren Daishonin, al contrario, fu un fermo sostenitore dell’uguaglianza tra uomini e donne. Egli scrisse: «Non devono esserci discriminazione tra coloro che propagano i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo nell’Ultimo Giorno della Legge, siano essi uomini o donne». Questa fu una dichiarazione rivoluzionaria per un tempo in cui le donne erano quasi totalmente dipendenti dall’uomo: le “tre obbedienze” imponevano che una donna giapponese dovesse prima obbedire ai genitori, poi al marito e, durante la vecchiaia, al figlio maschio. Nichiren inviò lettere di incoraggiamento a numerose discepole attribuendo a molte di loro il titolo di Shonin (santa). La forza nella fede, il coraggio e l’indipendenza mostrato da queste donne lo colpì profondamente. Scrisse a Nichimyo Shonin: «Non ho mai udito di una donna che abbia percorso mille ri alla ricerca del Buddismo (come hai fatto tu) … Tu sei la più grande devota del Sutra del Loto fra tutte le donne del Giappone. Perciò […] ti darò il nome di santa Nichimyo». Nel dodicesimo capitolo del Sutra del Loto intitolato Devadatta, Shakyamuni mostra l’ottenimento della Buddità delle donne, rivelando come una bambina drago di otto anni riuscisse a ottenere rapidamente quella condizione attraverso il Sutra del Loto. In questo modo viene chiarito il principio che si diventa Budda mantendo la forma presente, e allo stesso tempo vengono totalmente rovesciate le credenze dell’epoca riguardo l’Illuminazione delle donne che poteva essere ottenuta solo dopo aver condotto faticose ed estenuanti pratiche. La bimba-drago ha una forma animale, è femmina ed è giovanissima: è quasi scandaloso che fosse lei la prima in assoluto a dimostrare l’immediato ottenimento della Buddità. Il Daishonin sottolinea: «…Tra i principi del Sutra del Loto, quello dell’ottenimento della Buddità per le donne è il più importante». In un’altra lettera scrive: «Quando io, Nichiren, leggo Sutra diversi dal Sutra del Loto, non provo il minimo desiderio di diventare una donna. Alcuni Sutra condannano le donne come messaggere dell’inferno, alcuni le paragonano a grandi serpi, altri ad alberi piegati e contorti e un sutra le descrive persino come persone che hanno bruciato il seme della Buddità. […] Solo nel Sutra del Loto si legge che le donne che abbracciano questo Sutra, non solo sono superiori a tutte le altre donne, ma eccellono su tutti gli uomini». Nichiren fece il voto di condividere il messaggio di speranza del Sutra del Loto con tutte le donne del Giappone. Il Buddismo considera le distinzioni di genere, razza ed età come arricchimento sia per ogni singola persona, sia per la società umana nel suo complesso. Il Sutra del Loto viene definito talvolta come l’insegnamento della non-discriminazione, poiché rivela che lo stato di Buddità è inerente a tutti i fenomeni. «L’obbiettivo principale – scrive Daisaku Ikeda – è che uomini e donne diventino felici come esseri umani. Diventare felici è lo scopo fondamentale, tutto il resto è un mezzo. Il punto fondamentale della “dichiarazione dei diritti delle donne” che appare nel Sutra del Loto è che ogni persona ha il potenziale innato e il diritto di realizzare uno stato vitale di assoluta felicità». Se non c’è differenza tra uomini e donne in termini di capacità nell’ottenerla, perché entrambi i generi sono egualmente manifestazioni della realtà fondamentale, Daisaku Ikeda, pensando ad alcune peculiarità dell’essere femminile, auspica addirittura che il secolo a venire sia un “secolo delle donne”. Nella Proposta di pace del 2001 scrive: «Sono certo che nel XXI secolo l'entrata in scena delle donne avrà una portata che andrà al cuore della civiltà umana, e si rivelerà più importante e vitale dell'ottenimento della parità legale ed economica». E ancora: «Con le donne come capofila, quando ogni singolo individuo sarà consapevole e impegnato, saremo in grado di impedire che la società ricada in una cultura della guerra, e potremo sviluppare e concentrare le nostre energie per la creazione di un secolo di pace». (sito I.B.I.S.G.)

IL GENERALE TIGRE DI PIETRA

I l ventiduesimo giorno di questo mese ho ricevuto tutto ciò che mi hai manda - to da Shinano: tre kan di monete, un sacco di riso bianco, cinquanta dolci di riso, un contenitore di bambù grande e uno picco - lo pieni di sakè, cinque spiedi di cachi sec - chi e dieci melagrane, come pure la lista che hai unito a questi doni. Un sovrano è sostenuto dal popolo e questo a sua volta vive sotto la sua prote - zione. I vestiti ci proteggono dai cambia - menti di temperatura e il cibo ci sostiene, proprio come l’olio mantiene vivo il fuoco e l’acqua permette ai pesci di vivere. Gli uccelli costruiscono nidi in alto sugli al - beri per paura degli uomini, ma scendono per nutrirsi e vengono presi nelle trappo - le. I pesci che vivono sul fondo di un lago temono che questo sia troppo poco pro - fondo e scavano buche per nascondersi, ma, attirati dall’esca, abboccano all’amo. Nessun tesoro posseduto dall’uomo è più prezioso del cibo e delle bevande, dei ve - stiti e delle medicine. Io non sono forte di salute come altri, inoltre vivo in questa sperduta foresta di montagna. Quest’anno è stato particolar - mente difficile per le epidemie e la carestia in primavera e in estate, che sono peggio - rate in autunno e in inverno. Anche la mia malattia era peggiorata di nuovo, ma tu mi hai prescritto diverse medicine e me le hai mandate insieme alla veste imbottita. Grazie alle tue cure, sono rapidamente migliorato; adesso sono guarito e mi sento molto meglio di prima. Il Trattato sugli sta - di della pratica dello Yoga del Bodhisattva Maitreya e il Trattato sulla grande perfezio - ne della saggezza del Bodhisattva Nagar - juna affermano che, se la malattia di una persona è causata dal karma immutabile, anche un’eccellente medicina si trasforma in veleno, ma se si crede nel Sutra del Loto anche il veleno si trasforma in medicina. Poiché, sebbene indegno, Nichiren pro - paga il Sutra del Loto, i demoni hanno fatto a gara per privarlo del cibo. Aven - do compreso questo, non mi lamento, ma credo che questa volta io sia sopravvissuto soltanto perché il Budda Shakyamuni è entrato nel tuo corpo per aiutarmi. Questo è tutto per quanto riguarda questo argomento. Riguardo al tuo viag - gio di ritorno a casa l’ultima volta, ero estremamente preoccupato, e sono vera - mente felice di sapere che sei arrivato a Kamakura sano e salvo. La mia ansia era tale che ho chiesto tue notizie a chiunque venisse qui da Kamakura. Uno mi ha det - to di averti incontrato a Yumoto, un altro di averti incontrato più avanti a Kozu e quando un terzo mi ha detto che ti ave - va visto a Kamakura, mi sono sentito sol - levato. D’ora in avanti non devi venire a visitarmi di persona, a meno che non sia assolutamente necessario; quando devi comunicarmi qualcosa di urgente, manda un messaggero. Ero davvero molto preoc - cupato riguardo al tuo ultimo viaggio; un nemico cerca di farti dimenticare il peri - colo per poterti attaccare. Se devi viaggia - re, non risparmiare sul prezzo di un buon cavallo, porta con te i tuoi migliori soldati per difenderti da un’imboscata e scegli un cavallo che ti possa portare facilmente con tutta l’armatura. Nell’ottavo volume di Grande concen - trazione e visione profonda e nell’ottavo volume di Annotazioni su “Grande con - centrazione e visione profonda” di Miao-lo si afferma: «Più forte è la fede, maggiore è la protezione degli dèi». Questo vuol dire che la protezione degli dèi dipende dalla forza della fede di una persona. Il Sutra del Loto è un’eccellente spada, ma la sua forza dipende da chi la impugna. Tra coloro che propagano questo sutra nell’Ultimo giorno della Legge, chi potrebbe paragonarsi a Shariputra, Mahakashyapa, Percettore dei Suoni del Mondo, Suono Meraviglioso, Manjushri e Re della Medicina? Le persone dei due veicoli [come Shariputra] avevano distrutto tutte le illusioni del pensiero e del desiderio, liberandosi dai sei sentieri; i bodhisattva [come Percettore dei Suoni del Mondo] avevano estirpato quaran - tuno dei quarantadue livelli di ignoranza ed erano come la luna della quattordi - cesima notte, prima che diventi piena. Ciò nonostante il Budda Shakyamuni si rifiutò di affidare la missione della pro - pagazione a queste persone, affidandola invece ai Bodhisattva della Terra perché questi avevano temprato perfettamente la propria fede. Il potente guerriero, il generale Li Kuang, la cui madre era stata divorata da una tigre, scagliò una freccia contro una pietra, scambiandola per la tigre, e la freccia vi si conficcò fino alle piume. Ma quando si rese conto che si trattava di una pietra, non riuscì più a perforarla. In se - guito a ciò divenne noto come il generale Tigre di Pietra. Lo stesso è successo a te: sebbene i nemici siano in agguato, forse la tua risoluta fede nel Sutra del Loto ha sventato le loro persecuzioni prima ancora che si verificassero? Comprendendo que - sto, devi rafforzare la tua fede più che mai. È impossibile dire tutto ciò che vorrei in una sola lettera. Con profondo rispetto, Nichiren Il ventiduesimo giorno del decimo mese intercalare del primo anno di Koan (1278), segno ciclico tsuchinoe-tora Risposta a Shijo Saemon. (SITO I.B.I.S.G)

venerdì 20 settembre 2013

LA PRATICA PER SE' E LA PRATICA PER GLI ALTRI

Il Buddismo di Nichiren ci promette che possiamo ottenere la Buddità in questa vita, ma cosa vuol dire ottenere la Buddità o Illuminazione? Shakyamuni, il fondatore storico del Buddismo, ai suoi tempi era riconosciuto come Budda grazie alla sua capacità di comprendere le sofferenze della gente, di mostrare che tutti possiedono le risorse interiori per superare i problemi e che possono risvegliarsi a una visione più ampia di sé e delle proprie potenzialità. La sua indole maestosa fu d’ispirazione per tutti. Col passare del tempo l’ideale di Buddità, manifestato nell’esempio vivente di Shakyamuni, divenne sempre più astratto e distante. Inoltre, dal momento in cui si cominciò a considerarlo un essere ultraterreno, fra il Budda e la gente comune si iniziò a creare un divario, apparentemente insormontabile. Mentre l’intento di Shakyamuni era, come è scritto nel Sutra del Loto, «di rendere tutte le persone uguali a me», in alcune scuole buddiste egli fu ritenuto un essere unico, inimitabile, e lo scopo della pratica religiosa divenne quello di ottenere uno stato d’Illuminazione meno completo della Buddità. Da altri ancora la Buddità fu vista come uno scopo estremamente distante, che richiedeva molte vite e moltissimi sforzi, qualcosa che non era alla portata di tutti. Nel Buddismo di Nichiren non si diventa Budda in un certo momento del futuro, la Buddità non è un punto statico di arrivo ma è una condizione innata che tutti possiedono. La pratica buddista consiste nel manifestare le qualità della Buddità – compassione, saggezza, coraggio e forza vitale creativa – qui e ora, proprio nel bel mezzo delle sfide della nostra vita quotidiana. Ma l’azione che mette in grado le persone di manifestare la Buddità con maggiore efficacia è la pratica del Bodhisattva: la pratica per sé e per gli altri. Nei sutra mahayana i Bodhisattva vengono descritti come discepoli del Budda che dedicano la loro vita alla pratica buddista e seguono l’esempio e l’insegnamento del Budda. Attraverso le loro esperienze individuali e la loro pratica essi sviluppano meravigliose qualità e caratteristiche, diverse fra loro, che adoperano per aiutare le persone che soffrono dei più svariati problemi. Queste qualità e i Bodhisattva stessi simboleggiano la ricchezza della Buddità, inerente alla vita di tutte le persone, così come l’illimitata varietà dei modi in cui essa si esprime. La pratica del Bodhisattva è una pratica appassionata in cui ci si sforza nel proprio sviluppo personale e contemporaneamente ci si impegna ad alleviare le sofferenze degli altri, per portare loro gioia e beneficio. L’esempio del Bodhisattva getta un ponte fra l’ideale astratto della Buddità e le nostre vite terrene perché, in definitiva, il modo di vivere del Bodhisattva è il modo di vivere del Budda stesso. La vita del Budda era votata sia allo sviluppo personale che all’impegno rigoroso verso le persone e i loro problemi. Quest’impegno si basava sulla profonda convinzione della dignità della vita di ogni persona. Perciò è un Budda chi lotta continuamente per risvegliare le persone alla fiducia nelle proprie capacità innate che consentono di superere qualsiasi difficoltà, ed è un Budda chi lotta per incoraggiare le persone a usare sfide e sofferenze come trampolino di lancio per sviluppare un’energia tale da ottenere una felicità indistruttibile. In definitiva, è attraverso l’interazione con gli altri, attraverso i nostri sforzi per aiutare gli altri e attraverso le buone influenze dei nostri amici e mentori, che siamo in grado di manifestare la condizione vitale del Budda e di condurre le nostre vite nella gioiosa orbita della Buddità, come il presidente della SGI Daisaku Ikeda l’ha descritta: «Portare avanti azioni per il bene degli altri rafforza, sviluppa e consolida la Buddità nella nostra vita. Quando la nostra Buddità si rafforza, riusciamo a ispirare gli altri ancora più profondamente. La strada maestra della nostra rivoluzione umana risiede in questo continuo processo di sviluppo personale e di aiuto verso gli altri a fare altrettanto; in definitiva il comportamento del Budda è esso stesso la pratica per diventare, o essere, un Budda.

giovedì 19 settembre 2013

ATTACCAMENTI E LIBERAZIONE

Il Buddismo è un insegnamento di emancipazione, volto a liberare le persone dalle inevitabili sofferenze della vita, perciò i primi insegnamenti buddisti si focalizzarono sulla caducità di tutte le cose. Il Budda si rese conto che nulla resta uguale in questo mondo, tutto è in uno stato di costante cambiamento. Ogni senso di benessere e sicurezza che deriva da situazioni piacevoli o circostanze favorevoli – relazioni con chi amiamo, salute – viene continuamente minacciato dal fluire incessante della vita e, infine, dalla morte, il cambiamento in assoluto più radicale e profondo di tutti. Il Budda vide che la causa della sofferenza stava proprio nell’ignoranza della natura del cambiamento stesso. Desideriamo restare attaccati a ciò che per noi ha valore, e soffriamo quando l’inevitabile processo di cambiamento della vita ci separa da queste cose. Dunque, egli pensò, ci si libera dalla sofferenza quando si elimina l’attaccamento alle cose transitorie di questo mondo. In questa prospettiva, la pratica buddista è orientata verso un allontanamento dal mondo: se la vita è sofferenza e il mondo è un luogo pieno d’incertezza, l’emancipazione risiede nel liberarsi dall’attaccamento alle cose e alle preoccupazioni mondane, conseguendo un’Illuminazione trascendente. Il Sutra del Loto, sul quale si basa l’insegnamento di Nichiren Daishonin, è rivoluzionario perché ribalta quest’orientamento, capovolgendo le premesse alla base degli insegnamenti iniziali del Budda, puntando invece l’attenzione sulle infinite potenzialità della vita in sé e sulla gioia di vivere proprio in questo mondo. Laddove altri insegnamenti avevano mirato all’Illuminazione o all’emancipazione finale (Buddità) come a una meta da raggiungere in un imprecisato momento nel futuro, negli insegnamenti del Sutra del Loto ogni individuo è intrinsecamente e originariamente un Budda. Attraverso la pratica buddista sviluppiamo le nostre qualità illuminate e le esercitiamo nel mondo qui e ora, per il bene degli altri e con l’intento di trasformare positivamente la società. La vera natura della nostra vita è di libertà e potenzialità infinite ora. Questo sensazionale cambiamento di direzione, compiuto dal Sutra del Loto, è racchiuso nel concetto chiave, apparentemente paradossale, del Buddismo di Nichiren Daishonin secondo cui “i desideri terreni sono Illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. L’immagine del puro fiore di loto che sboccia nello stagno fangoso è una metafora che racchiude questa visone: libertà, emancipazione, Illuminazione vengono forgiate ed espresse nel bel mezzo del sudicio pantano della vita, con i suoi problemi, sofferenze e contraddizioni. È impossibile vivere senza attaccamenti o eliminarli: l’affetto per gli altri, il desiderio di riuscire negli sforzi fatti, gli interessi, le passioni, l’amore per la vita, tutti questi sono attaccamenti e potenziali fonti di delusione e sofferenza, ma sono anche la sostanza stessa della nostra umanità e gli elementi per una vita impegnata e realizzata. (sito I.B.I.S.)

mercoledì 18 settembre 2013

LO STUDIO

Nell’insegnamento di Nichiren Daishonin lo studio delle sue scritture e dei principi buddisti è un aspetto fondamentale della pratica individuale: «Impegnati nelle due vie della pratica e dello studio – afferma il Daishonin. – Senza pratica e studio non può esservi Buddismo. Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri. Sia la pratica che lo studio sorgono dalla fede. Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o una sola parola». Lo studio del Buddismo non ha come scopo un “sapere” fine a se stesso, quanto piuttosto una coerente e costante applicazione e sperimentazione dei principi teorici nella vita quotidiana. Obiettivo della pratica buddista è l’ottenimento della Buddità per sé e per gli altri attraverso un processo di trasformazione – la rivoluzione umana – che parte da se stessi per arrivare alla propria comunità, riconoscendo e rispettando la potenziale Buddità presente in ogni forma di vita. Lo studio è la bussola che guida questo cammino ma, come scrive Nichiren Daishonin: «Non pensare mai che qualcuno degli ottantamila sacri insegnamenti di Shakyamuni o qualcuno dei Budda o bodhisatttva delle tre esistenze e delle dieci direzioni sia al di fuori di te. La pratica degli insegnamenti buddisti non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte a meno che tu non percepisca la vera natura della tua vita». (sito I.B.I.S.G )

LA PREGHIERA

Nella pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin la preghiera ha un’importanza centrale. Gli appartenenti alla Sgi raccontano esperienze riguardo il “pregare dal profondo del cuore”. Parlano anche di “risposta” alle loro preghiere. Che cosa intendono con tali affermazioni? Il Dizionario italiano Devoto Oli definisce la preghiera come: «Testo, parola o pensiero mediante cui il devoto si rivolge alla divinità». In cosa concorda la cultura buddista della preghiera rispetto a questa definizione, e in quali aspetti si distingue? Sembra che l’umanità si sia dedicata a qualche forma di “preghiera” fin dagli albori della specie. Man mano che l’essere umano sviluppava la consapevolezza della propria impotenza di fronte alle forze della natura, alla precarietà dell’esistenza e alla mortalità, cominciò a esprimere intensamente sentimenti di supplica, lode o ringraziamento. Il presidente della SGI Daisaku Ikeda ha scritto che la religione si è sviluppata a partire dalla preghiera, e che l’idea e l’atto della preghiera precedono la forma stessa che le diverse tradizioni religiose hanno dato, di volta in volta, a questa azione primordiale dell’essere umano. Anche la preghiera buddista può essere considerata come un’espressione concentrata di questi stessi sentimenti di aspirazione, ricerca e apprezzamento. Si distingue, però, per il fatto che il Buddismo colloca il “divino” all’interno della vita del singolo praticante. Lo scopo fondamentale della preghiera buddista è dunque quello di risvegliare le innate capacità interiori di forza, coraggio e saggezza e non invocare forze o divinità esterne. Inoltre, come in molte pratiche spirituali orientali, è anche importante un’espressione “fisica” della preghiera che, per i praticanti del Buddismo di Nichiren, si concretizza nella lettura – mattina e sera – di due parti del Sutra del Loto e nella recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, il nome della Legge mistica che sta alla base della vita stessa e che Nichiren ha preso dal titolo del Sutra del Loto. Il fatto che la recitazione sia intonata sonoramente esprime il concetto che nel Buddismo di Nichiren Daishonin la preghiera non è puramente una meditazione rivolta all’interno della propria vita, ma un atto che rende manifeste delle qualità interiori potenziali, facendole apparire nel mondo reale. I buddisti rivolgono la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo a un oggetto di culto, il Gohonzon: questo è un mandala, cioè una rappresentazione simbolica dello stato ideale di Buddità, o Illuminazione, in cui tutte le tendenze e gli impulsi della vita – dai più bassi o degradati ai più alti o nobili – agiscono in armonia per realizzare felicità, creatività e saggezza. Il Gohonzon non è un “idolo” o un “dio” da supplicare o da ingraziarsi, ma uno strumento per riflettere e un catalizzatore per un positivo cambiamento interiore. I buddisti della Soka Gakkai vengono incoraggiati a esprimere le proprie preghiere in forma specifica e concreta, focalizzata su problemi, speranze o preoccupazioni che essi affrontano nella vita quotidiana. Il Buddismo del Daishonin – in particolare – evidenzia l’inseparabilità dei “desideri terreni” dall’Illuminazione. Nichiren ha affermato infatti che “bruciando” la “legna” dei nostri desideri attraverso l’azione della preghiera, riusciamo a sviluppare la “fiamma” di una rinnovata energia e la “luce” della nostra saggezza. La preghiera buddista rappresenta quindi il processo attraverso il quale i desideri e le sofferenze vengono trasformati in compassione e saggezza. Questo percorso implica una riflessione su di sé, e passa necessariamente attraverso il confronto – talvolta doloroso – con le proprie tendenze negative più radicate. «La pratica degli insegnamenti buddisti – scrive Nichiren Daishonin – non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte a meno che tu non percepisca la vera natura della tua vita. Se cerchi l’Illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno un centesimo». I praticanti, inoltre, sono incoraggiati a legare strettamente la preghiera con le azioni e il comportamento nella vita quotidiana. La preghiera è sincera solo se coerente con l’azione. Per trasformare concretamente la propria vita è necessario quindi attivare determinazione e preghiera, impegno e sincerità. Secondo l’insegnamento del Daishonin, attraverso la recitazione di Nam-myo-renge-kyo si può attivare la condizione vitale più elevata: la “natura di Budda”. Questo potenziale – presente in ogni forma di vita – è la stessa Legge mistica che permea l’intero infinito universo. La preghiera è il costante processo di riallineare le nostre singole vite (“piccolo io”) con tutti i loro impulsi e desideri, con il ritmo dell’universo vivente (“il grande io”). Durante questo percorso, definito anche “rivoluzione umana”, vengono attivate pienamente capacità – fino ad allora poco utilizzate o del tutto inespresse – quali conoscenza di sé, saggezza, vitalità e perseveranza. E poiché nella filosofia buddista non esiste separazione tra il mondo interiore degli esseri umani e il loro ambiente, i cambiamenti che avvengono dentro di noi si riflettono anche fuori di noi, nelle situazioni esterne. Sperimentare una “risposta” alle preghiere è il risultato concreto e visibile di questo processo. Daisaku Ikeda ha scritto che la forma più alta di preghiera è il voto di contribuire alla felicità degli altri e allo sviluppo di una convivenza pacifica sul pianeta. Questo voto, e le azioni che ne conseguono, armonizzano profondamente le nostre vite con l’infinita vita dell’universo e fanno emergere il nostro io più elevato e nobile. (sito I.B.I.S.G)

martedì 17 settembre 2013

KOSEN-RUFU:LA REALIZZAZIONE DELLA PACE

Il termine giapponese kosen-rufu esprime un concetto di fondamentale importanza per i membri della Soka Gakkai. Spesso viene tradotto come “pace nel mondo”, intesa però in senso più vasto della semplice “assenza di guerre”. Si potrebbe definire come pace omnicomprensiva, ottenuta attraverso un radicale cambiamento nel cuore delle persone grazie alla diffusa adozione di valori umanistici quali – prima di ogni altro – l’assoluto rispetto per la dignità della vita. L’espressione kosen-rufu ha un’origine antica e appare nel ventitreesimo capitolo del Sutra del Loto, Precedenti vicende del bodhisattva Re della medicina. In un brano del capitolo si legge: «Dopo la mia estinzione, nell’ultimo periodo di cinquecento anni, dovrai diffonderlo in tutto Jambudvipa e non permettere mai che la sua diffusione sia interrotta». L’espressione «dovrai diffonderlo [il Sutra del Loto]» viene resa da Nichiren Daishonin con il termine kosen-rufu. I quattro ideogrammi che compongono l’espressione significano: ko “ampiamente”, sen “dichiarare”, ru “corrente dell’acqua” e fu “tessuto” costituito dalla trama e dall’ordito. Kosen indica quindi l’azione di far conoscere ampiamente la Legge mistica, mentre rufu indica la diffusione come flusso incessante che scorre nella vita quotidiana delle persone e nelle relazioni sociali. Poiché, secondo la visione buddista, la Legge mistica è la Legge della vita che permette alle persone di diventare felici consentendo di manifestare il loro più grande potenziale, la Buddità, ed è quindi il motore del progresso degli esseri umani e della società, agire per realizzare kosen-rufu significa impegnarsi nella costruzione di una società pacifica e felice. Il Daishonin decise da solo e spontaneamente di realizzare kosen-rufu nel mondo, spinto dalla compassione per tutti gli esseri umani, sicuro che molti l’avrebbero seguito. «Dapprima solo Nichiren – scrive in una sua lettera – recitò Nam-myoho-renge-kyo, ma poi due, tre, cento lo seguirono, recitando e insegnando agli altri. La propagazione si svilupperà così anche in futuro. Non vuol dire ciò “emergere dalla terra”? Infine, al tempo in cui la Legge si diffonderà ampiamente [il tempo di kosen-rufu, n.d.r.] l’intero paese del Giappone reciterà Nam-myoho-renge-kyo; questo è certo come una freccia che, puntata verso terra, non può mancare il bersaglio». Kosen-rufu dunque implica un modo di avvicinarsi alla pratica buddista profondamente calato nelle questioni sociali e secolari. Nichiren Daishonin si distingueva dai buddisti suoi contemporanei perché poneva l’accento su kosen-rufu: in quest’ottica, la felicità individuale, o Illuminazione, è indissolubilmente collegata alla pace e alla felicità dei nostri simili e della società nel suo complesso. Egli rifiutava l’idea che l’Illuminazione fosse qualcosa da coltivare come una virtù privata, interiore. Allo stesso modo rifiutava l’idea che il vero obiettivo del Buddismo fosse di accumulare ricompense per l’aldilà. Questi due concetti – secondo il Daishonin – avevano in comune una sorta di rassegnazione riguardo alla capacità di superare la sofferenza e trasformare positivamente la società, un’inaccettabile distorsione dell’idea chiave del Buddismo secondo cui le persone possono realizzare la vera felicità nel posto in cui vivono. Entrambi gli approcci erano dunque bersaglio delle sue aspre critiche. Secondo Nichiren, l’Illuminazione non è tanto un obiettivo in sé, quanto la base per un’ulteriore azione compassionevole. Lo stato vitale di Buddità viene dunque espresso, mantenuto e rafforzato attraverso azioni dirette a contribuire al benessere e alla felicità delle altre persone. L’enfasi di Nichiren su kosen-rufu rifletteva anche la sua visione del tempo: vigeva la convinzione che la storia fosse entrata nel periodo “dell’Ultimo giorno della Legge” (giapp. mappo). Era stato predetto, infatti, che – a partire da 2000 anni dopo la morte del Budda Shakyamuni (da qui l’affermazione "nel quinto periodo di cinquecento anni dopo la mia morte" sopra citata) – ci sarebbe stato un periodo in cui gli insegnamenti del Budda avrebbero perso il potere di condurre le persone all’Illuminazione. I calcoli effettuati dai buddisti giapponesi avevano collocato l’inizio dell’Ultimo giorno della Legge nel 1052. L’arrivo di quest’epoca così temuta fu accolto con grandissima preoccupazione. La natura degenerata dell’epoca e il fallimento della legge buddista sembravano confermati dagli eventi. Nel 1221, per esempio, (un anno prima della nascita di Nichiren), un imperatore aveva cercato di rovesciare il governo dei samurai mobilitando le sette buddiste istituzionali a pregare per la sua vittoria. Ma fu sconfitto e passò il resto della sua vita in esilio. Nell’immaginario popolare, ciò rappresentava una sconfitta impensabile per l’autorità secolare dell’imperatore e quella religiosa del Buddismo di stato. Violenti disastri naturali, agitazioni politiche, carestie e pestilenze continuarono a susseguirsi in tutto l’arco della vita del Daishonin, confermando la sua visione dell’epoca. Ma Nichiren, contrariamente a molti dei suoi contemporanei, non considerava l’Ultimo giorno come un’epoca di rassegnazione a sofferenze inevitabili. Concentrava invece la sua attenzione su quei brani del Sutra del Loto nei quali si prediceva che sarebbe stata l’epoca in cui il Buddismo avrebbe ripreso nuova vita e si sarebbe diffuso ampiamente a beneficio della gente. Piuttosto, vedeva l’Ultimo giorno come un’epoca in cui la ricerca della sola felicità individuale non era più un’opzione praticabile: l’unica strada per la felicità era sfidare direttamente le cause prime dell’infelicità che affliggeva tutte le persone e la società nel suo complesso. Naturalmente kosen-rufu non indica la conversione di tutti gli abitanti della terra al Buddismo del Daishonin. Poiché le vite di tutte le persone sono collegate nel profondo, un cambiamento radicale di un individuo avrà un effetto positivo su tutti coloro con cui entra in contatto, soprattutto con quelli con cui condivide un forte legame. Daisaku Ikeda scrive: «La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità». «Ciò che conta – scrive ancora Ikeda – è che lo spirito della grande filosofia di pace che il Sutra del Loto espone quando spiega che tutte le persone sono Budda sia pienamente applicato alla società nel suo complesso. […] Significa far sì che il fondamento e la forza propulsiva della società siano i concetti di dignità umana e sacralità della vita». In questo senso, kosen-rufu si realizza a partire dal cambiamento di ogni singola persona, una trasformazione che avviene attraverso il continuo sforzo di avvicinare la propria intenzione, il proprio comportamento e le proprie azioni a quelle del Budda. Questa è la via della rivoluzione umana, attraverso la quale è possibile costruire pace e felicità durature. E poiché le azioni del Budda sono tutte volte alla realizzazione del suo grande desiderio («Come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda»), contribuire a kosen-rufu consiste nell’incessante impegno di risvegliare tutte le persone al senso del loro infinito potenziale o Buddità. Kosen-rufu non è un obiettivo finale, un capolinea: la sua essenza è tutta contenuta nel processo e nelle azioni finalizzate alla sua realizzazione, e non implica la fine di tutti i conflitti e delle contraddizioni della società. Piuttosto, si può pensare a kosen-rufu come alla costruzione di un mondo in cui un profondo e diffuso rispetto per la vita sia la base per affrontare e risolvere in modo pacifico e creativo tutti i conflitti. Inoltre, non è un tempo da attendere passivamente, ma una condizione che si può cominciare a realizzare proprio ora, nelle nostre comunità (sito I.B.I.S.G ) .