giovedì 26 settembre 2013

IL VALORE DELLA DIVERSITA'

Qual è il modo migliore per vivere in un mondo così ricco di differenze? Mai questione è stata più attuale di questa. Per sopravvivere è necessario trovare un modo per conciliare visioni del mondo e sistemi di valori diversi tra loro. I contatti e le interazioni tra le più diverse tradizioni culturali del mondo sono infatti inevitabili, e risposte come quella di ritirarsi e isolarsi nel proprio ambiente ristretto o di uniformarsi a una serie di valori imposti dalle potenze economiche e tecnologiche sono assolutamente inadeguate. Come possiamo imparare a vivere senza sentirci minacciati dalla diversità? O a comunicare efficacemente con chi ha una visione e comprensione del mondo diversa dalla nostra? La diversità può innescare conflitti e violenza, ma anche generare reciproca creatività e progresso. Come è possibile realizzare la seconda opzione? Il presidente della Soka Gakkai Internazionale (Sgi) Daisaku Ikeda ha scritto a questo proposito: «L’insegnamento del Budda ha inizio col riconoscimento della diversità umana. […] L’umanesimo del Sutra del Loto deriva dal principio di valorizzazione dell’individuo». Secondo il Buddismo, ogni singolo essere vivente è una manifestazione unica della verità fondamentale, e dal momento che ogni persona manifesta questa verità nel suo carattere unico e peculiare, ognuno di noi rappresenta un aspetto prezioso e indispensabile dell’universo vivente. Nelle sue scritture, Nichiren Daishonin usa la metafora di diversi alberi in fiore – il ciliegio, il susino etc. – per esprimere questo principio. Ogni fiore ha un suo modo unico e sue speciali caratteristiche per manifestarsi: tali caratteristiche, insieme, creano uno straordinario ritratto stagionale di vitalità e bellezza. Nichiren descrive questo come "manifestare la propria vera natura" (in giapponese: jitai kensho). Nel Buddismo di Nichiren Daishonin, Illuminazione non significa cambiare se stessi per diventare ciò che non si è: piuttosto si tratta di coltivare le qualità positive che già possediamo. Più precisamente, attraverso la saggezza e la vitalità che riusciamo a sviluppare, possiamo fare in modo che le particolari caratteristiche che formano la nostra personalità servano a creare valore e felicità per noi stessi e per gli altri. La qualità dell’impazienza, per esempio, può essere fonte di irritazione e attrito, ma anche diventare una forte spinta per un’azione pronta ed efficace. Al centro di tutto c’è il principio che ogni persona e ogni essere vivente sono una manifestazione unica e irripetibile della forza vitale dell’universo. Partendo da questo punto di vista, ogni individuo è valutato per le sue infinite possibilità, per la sua dignità e il suo valore intrinseco e inviolabile. Ma le distinzioni di genere, etnia, ambiente culturale o religioso, etc. – rapportate al tesoro supremo e universale della vita che tutti noi condividiamo – hanno un valore limitato. Man mano che questa consapevolezza aumenta si impara a trasformare e a superare gli attaccamenti alle differenze, e anche la paura e i conflitti che ne possono derivare. Così come ogni individuo ha una personalità unica e uniche esperienze di vita, ogni cultura può essere considerata una manifestazione della creatività e della saggezza cosmica. Dunque, poiché il Buddismo rifiuta qualsiasi ordine gerarchico tra gli esseri umani, adotta un atteggiamento di fondamentale rispetto anche verso tutte le culture e tradizioni.

mercoledì 25 settembre 2013

RISSHO ANKOKU:ASSICURARE LA PACE A TUTTE LE PERSONE

l Buddismo ha un’idea della vita fondamentalmente positiva. Il suo messaggio centrale è che ogni individuo possiede una dignità e un potenziale infiniti. Nel Sutra del Loto, la scrittura riconosciuta nella tradizione di Nichiren come il più completo e importante insegnamento di Shakyamuni, viene usata l’immagine di un’imponente torre ingioiellata per illustrare la bellezza, la dignità e la preziosità della vita stessa. Se comprendiamo profondamente che la vita umana è il più prezioso di tutti i tesori, allora saremo in grado di valorizzare la nostra vita e quella degli altri. Da questa prospettiva risulta chiaro che la guerra, come estremo sopruso e crudeltà verso gli esseri umani, è totalmente e assolutamente da rigettare, e la pace dovrebbe essere il nostro obiettivo costante. Se la società abbracciasse questa visione del valore della vita, prevenire la violenza e dedicarsi ad alleviare ogni forma di sofferenza diventerebbero le priorità assolute del genere umano, anziché l’accumulo di ricchezza e potere. Tutti quelli che si occupano di allevare, educare, curare e sostenere la vita – genitori, infermieri, medici e insegnanti – verrebbe trattati col massimo rispetto. Ma la maledizione dell’umanità sta nell’incapacità di apprezzare e credere pienamente nel valore della propria vita e di quella degli altri. E anche se lo si accetta in teoria, è estremamente difficile metterlo in pratica quotidianamente. Quando ci imbattiamo in un amaro conflitto interpersonale possiamo ancora sentire in noi il veleno della gelosia e dell’odio, e il desiderio di far del male a qualcuno o che, in qualche modo, “sparisca”. La trasformazione interiore La costituzione dell’UNESCO stabilisce che «dal momento che la guerra comincia nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che bisogna costruire la pace». Allo stesso modo, il Buddismo pone l’accento sul fatto che solo una trasformazione interiore delle nostre vite, al livello più profondo, può rendere la nostra compassione più forte del desiderio egoistico di vincere sugli altri o di usarli per i nostri fini, e ci offre l’insegnamento e il mezzo che ci permettono di compiere questo tipo di trasformazione radicale. Il Buddismo vede la vita come una lotta fra le forze del bene e quelle del male. Per bene qui si intende la natura creativa e compassionevole inerente a tutte le persone, e il desiderio di essere felici e di aiutare gli altri nella ricerca della felicità. Si definisce invece male ciò che divide e spezza il nostro senso di interconnessione, spingendoci verso una competizione mossa dalla paura che ci fa usare e dominare gli altri prima che possano farlo loro. Nel Giappone del XIII sec., durante la vita di Nichiren, una serie di disastri naturali – terremoti, alluvioni, pestilenze e incendi – avevano devastato il paese. Le sofferenze della gente comune erano enormi. Nichiren era fermamente determinato a trovare la causa fondamentale di tutta questa infelicità, e per questo studiò e analizzò a fondo le credenze sulle quali si strutturava la società del tempo. Era consapevole che sebbene il paese proliferasse di templi e di preti buddisti, in qualche modo le loro preghiere non riuscivano a realizzare pace e sicurezza per la gente. Egli sentì che il disordine evidente nel mondo rifletteva il disordine che regnava all’interno degli esseri umani. La carestia sopravviene a causa dell’avidità, la pestilenza come risultato della stupidità e la guerra come risultato della collera. Nichiren era convinto che solo il Buddismo potesse fornire alla gente la forza per superare nel corso della loro vita questi veleni spirituali ma, come risultato di uno studio ad ampio raggio, egli concluse che il Buddismo, così come veniva praticato ai suoi tempi, stava incoraggiando una passività che rendeva le persone vulnerabili all’influenza di questi veleni piuttosto che dare loro la spinta per superarli. La felicità nel presente Nichiren rigettò chiaramente la convinzione prevalente che tutto ciò che il Buddismo poteva offrire fosse la speranza di un conforto dopo la morte, e che l’atteggiamento migliore da tenere verso la vita fosse quello di una paziente sopportazione. Egli credeva appassionatamente che il Buddismo, come insegnato all’inizio, avesse ben altro da offrire: la possibilità di ottenere felicità e realizzazione nell’esistenza presente, dando alla gente la forza per trasformare la stessa società in una terra ideale e pacifica. Il trattato più importante di Nichiren, intitolato Rissho Ankoku Ron, letteralmente Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, presentato al reggente politico del tempo nel luglio 1260, fu un richiamo appassionato a ritornare all’intento originale del Buddismo – assicurare la pace e la felicità della gente. Una funzione chiave dei preti del tempo era quella di pregare per la protezione dei governanti della nazione. In contrasto, il punto focale di Nichiren erano i cittadini comuni. Nel Rissho Ankoku Ron, per esempio, per scrivere la parola “paese” scelse il carattere cinese che ha al centro l’ideogramma che significa “gente comune”, piuttosto che quello solitamente usato che mostra il re nel suo dominio, o la protezione armata del dominio. In un certo senso, la preoccupazione di Nichiren si potrebbe definire come ciò che ora si intende con “la sicurezza dell’essere umano”. Come il presidente della SGI Daisaku Ikeda ha recentemente dichiarato in un’analisi di questo trattato «nel passato, “sicurezza” implicava soltanto la sicurezza della nazione… Ma di che genere di sicurezza si tratta se, mentre lo stato è protetto, la dignità e la vita dei singoli cittadini vengono minacciate? Attualmente, la visione prevalente di sicurezza non è più incentrata sullo stato ma piuttosto sull’essere umano». Nichiren comincia il suo trattato descrivendo il disordine che vedeva intorno a sé. «Più della metà della popolazione è stata falciata dalla morte e non c’è una persona che non pianga almeno un lutto in famiglia» (RSND, 1, 6). La sua prima motivazione era una straziante empatia per le sofferenze della gente. Egli aveva fatto voto di condurre se stesso e gli altri all’illuminazione, e questo voleva dire lottare per risvegliare e incoraggiare le persone ad affrontare il loro destino. La sua schietta determinazione gli fece guadagnare una reputazione controversa che persiste ai nostri giorni. «Non posso tacere – scrisse – non posso nascondere i miei timori» (RSND, 1, 7). In termini di azioni concrete, Nichiren incitava i politici del tempo a smettere di proteggere ufficialmente o favorire le sette e ad aprire pubblici dibattiti in merito alle diverse scuole di Buddismo. A livello personale, chiamò i governanti «a cambiare i princìpi su cui si basa il vostro cuore» (RSND, 1, 26). In termini odierni ciò significa trasformare noi stessi e le nostre convinzioni più radicate circa la natura della vita. Una filosofia di pace Commentando la natura di questa trasformazione, il Presidente dell’SGI Daisaku Ikeda dice: "Ciò che conta è che lo spirito della grande filosofia di pace esposta nel Sutra del Loto (con il suo insegnamento che tutte le persone sono Budda) pervada l’intera società. A livello sociale, ‘stabilire l’insegnamento corretto’ vuol dire stabilire i concetti della dignità e della santità della vita umana come i principi che reggono e muovono la società.” Molti oggi vivono con un senso di confusione, vuoto e disperazione. Si sentono impotenti a operare cambiamenti, sia nella loro vita che nella società. L’idealismo è equiparato a ingenuità, e il cinismo serve a coprire la mancanza di speranza. Il disprezzo della vita umana alimenta violenza e sfruttamento. La funzione di qualsiasi religione o filosofia dovrebbe essere di dare alle persone il coraggio e la speranza necessari per trasformare le loro sofferenze. Abbiamo bisogno di sviluppare la forza necessaria per intraprendere con successo la lotta contro le forze distruttive e disgreganti che pervadono noi stessi e la società. A meno che non abbiamo come scopo l’empowerment (restituire speranza e dignità) per noi stessi e per gli altri, non saremo capaci di superare le influenze negative nella nostra vita e nell’ambiente. Per creare un’epoca di pace, in cui alla vita viene riconosciuto un valore supremo, è vitale per noi abbracciare una filosofia che riveli la meraviglia, la dignità e l’infinito potenziale della vita stessa. Quando basiamo le nostre azioni su questa convinzione e agiamo mossi dalla compassione per gli altri, il risultato è pura gioia, che ci motiva a fare di più. Rafforzandoci dall’interno, la nostra sfera di compassione diventa sempre più grande, includendo non soltanto noi stessi, la nostra famiglia e la nazione, ma l’umanità intera. Sviluppiamo la saggezza e la compassione per rifiutare e contrastare tutto ciò che danneggia o svilisce la vita. In questo modo potremo ottenere un senso interiore di sicurezza e allo stesso tempo una società pacifica che metta al primo posto la protezione delle persone più vulnerabili.

LE TRE GRANDI LEGGI SEGRETE

(Giapp: sandai-hiho): le dottrine fondamentali dell’insegnamento di Nichiren Daishonin. Esse sono l’oggetto dell’insegnamento originale, il daimoku dell’insegnamento originale e il santuario dell’insegnamento originale. Qui “insegnamento originale” si riferisce all’insegnamento di Nam myoho renge kyo e non all’insegnamento originale del Sutra del Loto, ovvero ai suoi ultimi quattordici capitoli. Nichiren (1222-1282) stabilì tre principi essenziali per permettere alle persone dell’Ultimo giorno della Legge di conseguire la Buddità. Essi sono chiamati segreti perché sono impliciti nel testo del capitolo Durata della vita del Tathagata (il sedicesimo) del Sutra del Loto e rimasero nascosti o sconosciuti finché Nichiren non li rivelò. Nichiren li considerava insegnamenti di importanza vitale che il Budda Shakyamuni trasmise al bodhisattva Pratiche Superiori nel capitolo Poteri sovrannaturali del Tathagata (il ventunesimo) del sutra. Egli considerava la propria missione la stessa del bodhisattva Pratiche Superiori. Le tre grandi leggi segrete rappresentano la comprensione di Nichiren della Legge mistica cui si era illuminato, in una forma che tutte le persone potessero praticare e grazie alla quale guadagnare l’accesso alla Buddità inerente alla proprio vita. Egli associava le tre grandi Leggi segrete ai tre tipi di insegnamento formulati nel Buddismo: precetti, meditazione e saggezza. Specificatamente, l’oggetto di culto corrisponde alla meditazione (dhyana), il santuario ai precetti (shila) e il daimoku alla saggezza (prajna). Riguardo ai tre tipi di insegnamento basati sul Sutra del Loto, Dengyo (767-822) nel suo Domande e risposte per gli studenti della scuola Tendai del Loto sostiene: «il precetto immutabile come lo spazio vuoto, la meditazione immutabile come lo spazio vuoto e la saggezza immutabile come lo spazio vuoto: tutti e tre sono trasmessi sotto lo stesso nome di ‘Legge meravigliosa’». I tre tipi di apprendimento basati sul Sutra del Loto sono detti ‘come lo spazio vuoto’ e ‘immutabili’ perchè come lo spazio vuoto, che rappresenta la realtà assoluta (vacuità) sono immutabili. Nikko, il successore di Nichiren, affermava che negli insegnamenti di Nichiren l’oggetto di culto corrisponde alla meditazione immutabile come lo spazio vuoto e il daimoku alla saggezza immutabile come lo spazio vuoto, il santuario al precetto immutabile come lo spazio vuoto e il daimoku alla saggezza immutabile come lo spazio vuoto. Nichiren menziona le tre grandi Leggi segrete in diversi suoi scritti (tutti datati dopo la sua tentata esecuzione a Tatsunokuchi e il conseguente esilio sull’isola di Sado nel 1271) e in opera conosciuta come Le tre grandi Leggi segrete, che ne offre una definizione dettagliata. Il cuore delle tre grandi Leggi segrete è l’unica grande Legge segreta. Essa è l’oggetto di culto dell’insegnamento originale, o la concretizzazione operata da Nichiren in forma di mandala dell’eterna Legge di Nam myoho renge kyo, che egli comprese pienamente e che manifestò nella propria vita. Egli scrive nella Persona e la Legge «nella mia carne mortale, custodisco gelosamente la Legge segreta fondamentale ereditata dal Budda Shakyamuni sul Picco dell’aquila».(SND, vol. IV, pag. 282) Poiché abbracciare questo oggetto di culto chiamato Gohonzon è il solo precetto dell’insegnamento di Nichiren, il luogo in cui esso viene conservato corrisponde al luogo in cui si pronunciano i voti di osservanza dei precetti buddisti, ovvero il palco per l’ordinazione, o santuario, dell’insegnamento originale. Il termine precetto nel Buddismo implica prevenire l’errore e porre fine al male. Il daimoku dell’insegnamento originale indica l’invocazione o la recitazione di Nam myoho renge kyo con fede nell’oggetto di culto; include la recitazione del daimoku per sé e l’insegnarlo agli altri. In questo modo, sia i santuario sia il daimoku derivano dall’oggetto di culto. In seguito Nichikan (1665-1726), ventiseiesimo patriarca del tempio Taiseki, classificò le tre grandi leggi segrete come le sei grandi Leggi segrete. La prima è l’oggetto di culto considerato secondo la Persona e secondo la Legge. La persona indica Nichiren stesso, che realizzò l’illuminazione e le virtù del Budda originale e che fondò il Buddismo della semina per tutte le persone dell’Ultimo giorno della Legge. L’oggetto di culto nei termini della Legge è il Gohonzon, che materializza la Legge di Nam myoho renge kyo. La seconda, il santuario, ha due aspetti, il santuario specifico e quello generale. Il primo santuario che dovrà essere costruito al tempo di kosen rufu, o ampia propagazione, in accordo con le istruzioni di Nichiren. Questo è il luogo in cui l’oggetto di culto che Nichiren iscrisse per tutto il genere umano (comunemente conosciuto come Dai Gohonzon) dovrà essere conservato quando il suo insegnamento sarà stato ampiamente diffuso e si sarà consolidato. Il santuario generale è il luogo in cui si conserva l’oggetto di culto e ci si impegna nella pratica. Anche la terza Legge segreta, il daimoku dell’insegnamento originale, ha due aspetti: il daimoku della fede e il daimoku della pratica. Il primo significa aver fede nel Gohonzon, il secondo recitare daimoku e diffonderne la pratica. Secondo lo scritto di Nichikan Interpretare il testo (del Sutra del Loto) basandosi sul suo significato essenziale, le sei grandi Leggi segrete sono considerate la concretizzazione della totalità degli ottantaquattromila insegnamenti del Budda, le tre grandi Leggi segrete sono la concretizzazione delle sei grandi Leggi segrete e l’unica grande Legge segreta è la concretizzazione delle tre grandi Leggi segrete. (dal Dizionario di Buddismo, Esperia edizioni, p. 885)

lunedì 23 settembre 2013

LE RIUNIONI DI DISCUSSIONE

Il dialogo, l’interazione e la discussione sono sempre stati alla base del processo attraverso il quale le persone possono approfondire e apprezzare sempre di più il Buddismo. Le grandi assemblee possono essere un mezzo efficace per trasmettere le notizie, e anche la stampa e altri media possono fornire una fonte d’informazione e d’ispirazione importante, ma questi canali di comunicazione corrono il rischio di diventare a senso unico. Nell’ambito dei movimenti religiosi in particolare, è probabile che attraverso comunicazioni di questo tipo, perfino con le migliori intenzioni, prima o poi si instauri una dinamica gerarchica fra chi insegna e chi apprende, con il risultato di una de-responsabilizzazione dei credenti che cominciano ad appoggiarsi ai loro leader o insegnanti. Se la vera missione della religione è quella di rendere le persone in grado di gioire della felicità più grande, allora diventa fondamentale sforzarsi al massimo per evitare tali conseguenze. Le discussioni in piccoli gruppi forniscono l’occasione per porre domande, per esporre e chiarire i dubbi. È un processo di apprendimento condiviso, che funziona a patto che tutti i partecipanti si sentano veramente a proprio agio. Dalla prospettiva dell’umanesimo buddista, la verità non è prerogativa esclusiva di un gruppo selezionato o di un singolo individuo. Piuttosto, la verità è qualcosa cui tutti hanno egualmente accesso, perché si scopre attraverso le battaglie intraprese con i nostri compagni di fede e viene trasmessa e condivisa attraverso una rete, in continua espansione, di connessioni empatiche fra le persone. Tali interazioni, basate sull’eguaglianza, sono il crogiolo nel quale si forgia l’umanità. Nichiren (1222-82), il riformatore buddista i cui insegnamenti ispirano le attività della SGI, valorizzò questa forma di studio e di dialogo. Dai suoi scritti è chiaro che i suoi discepoli s’incontravano regolarmente per studiare un gran numero di testi buddisti. Nichiren considerava cruciali queste discussioni per la trasmissione corretta del suo intento. Una sua lettera, scritta durante una dura persecuzione, inizia con queste parole: «Tutti coloro che aspirano alla via dovrebbero riunirsi insieme e ascoltare il contenuto di questa lettera» (Lettera da Teradomari, RSND, 1, 179). Le riunioni di discussione in piccoli gruppi sono state il fondamento della Soka Gakkai fin dal 1930. Il presidente fondatore Tsunesaburo Makiguchi viaggiò in tutto il Giappone per partecipare a queste riunioni, presenziando a qualcosa come duecentoquaranta piccoli gruppi di discussione durante gli ultimi due anni di vita, nonostante la libertà di religione fosse stata soppressa dal governo militarista del tempo. Al giorno d’oggi le riunioni di discussione sono tenute in ogni angolo del globo, generalmente a cadenza mensile. La grande maggioranza di esse si svolge nelle case dei membri, che vengono messe a disposizione per questo scopo. I partecipanti sono donne e uomini, bambini e persone di ogni grado di cultura e di livello sociale. Le riunioni sono tenute principalmente su base territoriale e danno alle persone l’opportunità di sviluppare quel tipo di relazioni che sono sempre più rare nell’ambito contemporaneo urbano – dove si può vivere per anni come vicini di casa senza aver sviluppato alcun legame personale. Le riunioni di discussione sono aperte a tutti e riuniscono persone che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione d’incontrarsi, in una società come la nostra divisa da linee visibili e invisibili. Chiunque, inclusi i bambini, o chi ha difficoltà a parlare davanti agli altri, viene incoraggiato a offrire la propria reazione o il proprio commento. Lo scambio di esperienze di fede – la trasformazione nella vita delle persone realizzata attraverso la pratica buddista – è un elemento centrale nelle riunioni di discussione. Non c’è forse niente di più incoraggiante, per chi sta lottando con i più svariati problemi, dell’esempio di altri che hanno affrontato e superato con successo le loro stesse prove. Le riunioni più riuscite sono quelle che traboccano di un brillante spirito d’incoraggiamento reciproco. Un altro aspetto importante è lo studio del Buddismo, uno o più individui possono presentare un concetto o un tema che fornirà lo spunto per ulteriori discussioni. Chiunque sia interessato ad approfondire il Buddismo, viene incoraggiato a commentare o a fare domande. Il presidente della SGI Daisaku Ikeda ha descritto il significato delle moderne riunioni di discussione in questi termini: «La cultura della gente comune, capace di rialzarsi con vitalità e apertura mentale, si trova nella reciprocità e nello scambio di una voce con un’altra voce, nell’incontrarsi nella propria cruda umanità, nel contatto da vita a vita. La società contemporanea è sommersa di aride informazioni, è per questo che la condivisione di una lingua viva, le voci reali della gente, possono dare un contributo cruciale allo stato di salute della società». (SITO I.B.I.S.G.)

domenica 22 settembre 2013

L' ILLUMINAZIONE DELLE DONNE

In alcuni sutra buddisti precedenti il Sutra del Loto era scritto che le donne non potevano ottenere la Buddità: «Anche se gli occhi dei Budda delle tre esistenze dovessero cadere al suolo – recita un sutra – nessuna donna di alcun regno dell’esistenza potrebbe mai ottenere la Buddità». Questa era la visione sulle donne che prevaleva nell’India del quinto secolo a.C.: venivano considerate più o meno proprietà dei loro mariti. Si dice, tuttavia, che in risposta alle richieste di una zia e di altre donne, Shakyamuni permise loro di diventare monache e di condurre una pratica monastica dopo aver stabilito otto regole che avrebbero dovuto seguire. Secondo Hajime Nakamura, studioso della cultura indiana: «L’apparire (nel Buddismo) di un ordine di monache fu un’evoluzione straordinaria nella storia del mondo religioso. A quell’epoca non esistevano analoghi ordini religiosi femminili in Europa, né in Nord Africa, o in tutta l’Asia. Il Buddismo fu la prima cultura a produrne uno». Nei secoli seguenti, però, cominciarono a riaffermarsi opinioni differenti sulle donne, e s’instaurò la credenza che, per ottenere la Buddità, le donne dovessero rinascere come uomini, conducendo continue e gravose pratiche. In questo modo l’ordine di monastico femminile declinò fino quasi a scomparire. Nichiren Daishonin, al contrario, fu un fermo sostenitore dell’uguaglianza tra uomini e donne. Egli scrisse: «Non devono esserci discriminazione tra coloro che propagano i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo nell’Ultimo Giorno della Legge, siano essi uomini o donne». Questa fu una dichiarazione rivoluzionaria per un tempo in cui le donne erano quasi totalmente dipendenti dall’uomo: le “tre obbedienze” imponevano che una donna giapponese dovesse prima obbedire ai genitori, poi al marito e, durante la vecchiaia, al figlio maschio. Nichiren inviò lettere di incoraggiamento a numerose discepole attribuendo a molte di loro il titolo di Shonin (santa). La forza nella fede, il coraggio e l’indipendenza mostrato da queste donne lo colpì profondamente. Scrisse a Nichimyo Shonin: «Non ho mai udito di una donna che abbia percorso mille ri alla ricerca del Buddismo (come hai fatto tu) … Tu sei la più grande devota del Sutra del Loto fra tutte le donne del Giappone. Perciò […] ti darò il nome di santa Nichimyo». Nel dodicesimo capitolo del Sutra del Loto intitolato Devadatta, Shakyamuni mostra l’ottenimento della Buddità delle donne, rivelando come una bambina drago di otto anni riuscisse a ottenere rapidamente quella condizione attraverso il Sutra del Loto. In questo modo viene chiarito il principio che si diventa Budda mantendo la forma presente, e allo stesso tempo vengono totalmente rovesciate le credenze dell’epoca riguardo l’Illuminazione delle donne che poteva essere ottenuta solo dopo aver condotto faticose ed estenuanti pratiche. La bimba-drago ha una forma animale, è femmina ed è giovanissima: è quasi scandaloso che fosse lei la prima in assoluto a dimostrare l’immediato ottenimento della Buddità. Il Daishonin sottolinea: «…Tra i principi del Sutra del Loto, quello dell’ottenimento della Buddità per le donne è il più importante». In un’altra lettera scrive: «Quando io, Nichiren, leggo Sutra diversi dal Sutra del Loto, non provo il minimo desiderio di diventare una donna. Alcuni Sutra condannano le donne come messaggere dell’inferno, alcuni le paragonano a grandi serpi, altri ad alberi piegati e contorti e un sutra le descrive persino come persone che hanno bruciato il seme della Buddità. […] Solo nel Sutra del Loto si legge che le donne che abbracciano questo Sutra, non solo sono superiori a tutte le altre donne, ma eccellono su tutti gli uomini». Nichiren fece il voto di condividere il messaggio di speranza del Sutra del Loto con tutte le donne del Giappone. Il Buddismo considera le distinzioni di genere, razza ed età come arricchimento sia per ogni singola persona, sia per la società umana nel suo complesso. Il Sutra del Loto viene definito talvolta come l’insegnamento della non-discriminazione, poiché rivela che lo stato di Buddità è inerente a tutti i fenomeni. «L’obbiettivo principale – scrive Daisaku Ikeda – è che uomini e donne diventino felici come esseri umani. Diventare felici è lo scopo fondamentale, tutto il resto è un mezzo. Il punto fondamentale della “dichiarazione dei diritti delle donne” che appare nel Sutra del Loto è che ogni persona ha il potenziale innato e il diritto di realizzare uno stato vitale di assoluta felicità». Se non c’è differenza tra uomini e donne in termini di capacità nell’ottenerla, perché entrambi i generi sono egualmente manifestazioni della realtà fondamentale, Daisaku Ikeda, pensando ad alcune peculiarità dell’essere femminile, auspica addirittura che il secolo a venire sia un “secolo delle donne”. Nella Proposta di pace del 2001 scrive: «Sono certo che nel XXI secolo l'entrata in scena delle donne avrà una portata che andrà al cuore della civiltà umana, e si rivelerà più importante e vitale dell'ottenimento della parità legale ed economica». E ancora: «Con le donne come capofila, quando ogni singolo individuo sarà consapevole e impegnato, saremo in grado di impedire che la società ricada in una cultura della guerra, e potremo sviluppare e concentrare le nostre energie per la creazione di un secolo di pace». (sito I.B.I.S.G.)

IL GENERALE TIGRE DI PIETRA

I l ventiduesimo giorno di questo mese ho ricevuto tutto ciò che mi hai manda - to da Shinano: tre kan di monete, un sacco di riso bianco, cinquanta dolci di riso, un contenitore di bambù grande e uno picco - lo pieni di sakè, cinque spiedi di cachi sec - chi e dieci melagrane, come pure la lista che hai unito a questi doni. Un sovrano è sostenuto dal popolo e questo a sua volta vive sotto la sua prote - zione. I vestiti ci proteggono dai cambia - menti di temperatura e il cibo ci sostiene, proprio come l’olio mantiene vivo il fuoco e l’acqua permette ai pesci di vivere. Gli uccelli costruiscono nidi in alto sugli al - beri per paura degli uomini, ma scendono per nutrirsi e vengono presi nelle trappo - le. I pesci che vivono sul fondo di un lago temono che questo sia troppo poco pro - fondo e scavano buche per nascondersi, ma, attirati dall’esca, abboccano all’amo. Nessun tesoro posseduto dall’uomo è più prezioso del cibo e delle bevande, dei ve - stiti e delle medicine. Io non sono forte di salute come altri, inoltre vivo in questa sperduta foresta di montagna. Quest’anno è stato particolar - mente difficile per le epidemie e la carestia in primavera e in estate, che sono peggio - rate in autunno e in inverno. Anche la mia malattia era peggiorata di nuovo, ma tu mi hai prescritto diverse medicine e me le hai mandate insieme alla veste imbottita. Grazie alle tue cure, sono rapidamente migliorato; adesso sono guarito e mi sento molto meglio di prima. Il Trattato sugli sta - di della pratica dello Yoga del Bodhisattva Maitreya e il Trattato sulla grande perfezio - ne della saggezza del Bodhisattva Nagar - juna affermano che, se la malattia di una persona è causata dal karma immutabile, anche un’eccellente medicina si trasforma in veleno, ma se si crede nel Sutra del Loto anche il veleno si trasforma in medicina. Poiché, sebbene indegno, Nichiren pro - paga il Sutra del Loto, i demoni hanno fatto a gara per privarlo del cibo. Aven - do compreso questo, non mi lamento, ma credo che questa volta io sia sopravvissuto soltanto perché il Budda Shakyamuni è entrato nel tuo corpo per aiutarmi. Questo è tutto per quanto riguarda questo argomento. Riguardo al tuo viag - gio di ritorno a casa l’ultima volta, ero estremamente preoccupato, e sono vera - mente felice di sapere che sei arrivato a Kamakura sano e salvo. La mia ansia era tale che ho chiesto tue notizie a chiunque venisse qui da Kamakura. Uno mi ha det - to di averti incontrato a Yumoto, un altro di averti incontrato più avanti a Kozu e quando un terzo mi ha detto che ti ave - va visto a Kamakura, mi sono sentito sol - levato. D’ora in avanti non devi venire a visitarmi di persona, a meno che non sia assolutamente necessario; quando devi comunicarmi qualcosa di urgente, manda un messaggero. Ero davvero molto preoc - cupato riguardo al tuo ultimo viaggio; un nemico cerca di farti dimenticare il peri - colo per poterti attaccare. Se devi viaggia - re, non risparmiare sul prezzo di un buon cavallo, porta con te i tuoi migliori soldati per difenderti da un’imboscata e scegli un cavallo che ti possa portare facilmente con tutta l’armatura. Nell’ottavo volume di Grande concen - trazione e visione profonda e nell’ottavo volume di Annotazioni su “Grande con - centrazione e visione profonda” di Miao-lo si afferma: «Più forte è la fede, maggiore è la protezione degli dèi». Questo vuol dire che la protezione degli dèi dipende dalla forza della fede di una persona. Il Sutra del Loto è un’eccellente spada, ma la sua forza dipende da chi la impugna. Tra coloro che propagano questo sutra nell’Ultimo giorno della Legge, chi potrebbe paragonarsi a Shariputra, Mahakashyapa, Percettore dei Suoni del Mondo, Suono Meraviglioso, Manjushri e Re della Medicina? Le persone dei due veicoli [come Shariputra] avevano distrutto tutte le illusioni del pensiero e del desiderio, liberandosi dai sei sentieri; i bodhisattva [come Percettore dei Suoni del Mondo] avevano estirpato quaran - tuno dei quarantadue livelli di ignoranza ed erano come la luna della quattordi - cesima notte, prima che diventi piena. Ciò nonostante il Budda Shakyamuni si rifiutò di affidare la missione della pro - pagazione a queste persone, affidandola invece ai Bodhisattva della Terra perché questi avevano temprato perfettamente la propria fede. Il potente guerriero, il generale Li Kuang, la cui madre era stata divorata da una tigre, scagliò una freccia contro una pietra, scambiandola per la tigre, e la freccia vi si conficcò fino alle piume. Ma quando si rese conto che si trattava di una pietra, non riuscì più a perforarla. In se - guito a ciò divenne noto come il generale Tigre di Pietra. Lo stesso è successo a te: sebbene i nemici siano in agguato, forse la tua risoluta fede nel Sutra del Loto ha sventato le loro persecuzioni prima ancora che si verificassero? Comprendendo que - sto, devi rafforzare la tua fede più che mai. È impossibile dire tutto ciò che vorrei in una sola lettera. Con profondo rispetto, Nichiren Il ventiduesimo giorno del decimo mese intercalare del primo anno di Koan (1278), segno ciclico tsuchinoe-tora Risposta a Shijo Saemon. (SITO I.B.I.S.G)

venerdì 20 settembre 2013

LA PRATICA PER SE' E LA PRATICA PER GLI ALTRI

Il Buddismo di Nichiren ci promette che possiamo ottenere la Buddità in questa vita, ma cosa vuol dire ottenere la Buddità o Illuminazione? Shakyamuni, il fondatore storico del Buddismo, ai suoi tempi era riconosciuto come Budda grazie alla sua capacità di comprendere le sofferenze della gente, di mostrare che tutti possiedono le risorse interiori per superare i problemi e che possono risvegliarsi a una visione più ampia di sé e delle proprie potenzialità. La sua indole maestosa fu d’ispirazione per tutti. Col passare del tempo l’ideale di Buddità, manifestato nell’esempio vivente di Shakyamuni, divenne sempre più astratto e distante. Inoltre, dal momento in cui si cominciò a considerarlo un essere ultraterreno, fra il Budda e la gente comune si iniziò a creare un divario, apparentemente insormontabile. Mentre l’intento di Shakyamuni era, come è scritto nel Sutra del Loto, «di rendere tutte le persone uguali a me», in alcune scuole buddiste egli fu ritenuto un essere unico, inimitabile, e lo scopo della pratica religiosa divenne quello di ottenere uno stato d’Illuminazione meno completo della Buddità. Da altri ancora la Buddità fu vista come uno scopo estremamente distante, che richiedeva molte vite e moltissimi sforzi, qualcosa che non era alla portata di tutti. Nel Buddismo di Nichiren non si diventa Budda in un certo momento del futuro, la Buddità non è un punto statico di arrivo ma è una condizione innata che tutti possiedono. La pratica buddista consiste nel manifestare le qualità della Buddità – compassione, saggezza, coraggio e forza vitale creativa – qui e ora, proprio nel bel mezzo delle sfide della nostra vita quotidiana. Ma l’azione che mette in grado le persone di manifestare la Buddità con maggiore efficacia è la pratica del Bodhisattva: la pratica per sé e per gli altri. Nei sutra mahayana i Bodhisattva vengono descritti come discepoli del Budda che dedicano la loro vita alla pratica buddista e seguono l’esempio e l’insegnamento del Budda. Attraverso le loro esperienze individuali e la loro pratica essi sviluppano meravigliose qualità e caratteristiche, diverse fra loro, che adoperano per aiutare le persone che soffrono dei più svariati problemi. Queste qualità e i Bodhisattva stessi simboleggiano la ricchezza della Buddità, inerente alla vita di tutte le persone, così come l’illimitata varietà dei modi in cui essa si esprime. La pratica del Bodhisattva è una pratica appassionata in cui ci si sforza nel proprio sviluppo personale e contemporaneamente ci si impegna ad alleviare le sofferenze degli altri, per portare loro gioia e beneficio. L’esempio del Bodhisattva getta un ponte fra l’ideale astratto della Buddità e le nostre vite terrene perché, in definitiva, il modo di vivere del Bodhisattva è il modo di vivere del Budda stesso. La vita del Budda era votata sia allo sviluppo personale che all’impegno rigoroso verso le persone e i loro problemi. Quest’impegno si basava sulla profonda convinzione della dignità della vita di ogni persona. Perciò è un Budda chi lotta continuamente per risvegliare le persone alla fiducia nelle proprie capacità innate che consentono di superere qualsiasi difficoltà, ed è un Budda chi lotta per incoraggiare le persone a usare sfide e sofferenze come trampolino di lancio per sviluppare un’energia tale da ottenere una felicità indistruttibile. In definitiva, è attraverso l’interazione con gli altri, attraverso i nostri sforzi per aiutare gli altri e attraverso le buone influenze dei nostri amici e mentori, che siamo in grado di manifestare la condizione vitale del Budda e di condurre le nostre vite nella gioiosa orbita della Buddità, come il presidente della SGI Daisaku Ikeda l’ha descritta: «Portare avanti azioni per il bene degli altri rafforza, sviluppa e consolida la Buddità nella nostra vita. Quando la nostra Buddità si rafforza, riusciamo a ispirare gli altri ancora più profondamente. La strada maestra della nostra rivoluzione umana risiede in questo continuo processo di sviluppo personale e di aiuto verso gli altri a fare altrettanto; in definitiva il comportamento del Budda è esso stesso la pratica per diventare, o essere, un Budda.

giovedì 19 settembre 2013

ATTACCAMENTI E LIBERAZIONE

Il Buddismo è un insegnamento di emancipazione, volto a liberare le persone dalle inevitabili sofferenze della vita, perciò i primi insegnamenti buddisti si focalizzarono sulla caducità di tutte le cose. Il Budda si rese conto che nulla resta uguale in questo mondo, tutto è in uno stato di costante cambiamento. Ogni senso di benessere e sicurezza che deriva da situazioni piacevoli o circostanze favorevoli – relazioni con chi amiamo, salute – viene continuamente minacciato dal fluire incessante della vita e, infine, dalla morte, il cambiamento in assoluto più radicale e profondo di tutti. Il Budda vide che la causa della sofferenza stava proprio nell’ignoranza della natura del cambiamento stesso. Desideriamo restare attaccati a ciò che per noi ha valore, e soffriamo quando l’inevitabile processo di cambiamento della vita ci separa da queste cose. Dunque, egli pensò, ci si libera dalla sofferenza quando si elimina l’attaccamento alle cose transitorie di questo mondo. In questa prospettiva, la pratica buddista è orientata verso un allontanamento dal mondo: se la vita è sofferenza e il mondo è un luogo pieno d’incertezza, l’emancipazione risiede nel liberarsi dall’attaccamento alle cose e alle preoccupazioni mondane, conseguendo un’Illuminazione trascendente. Il Sutra del Loto, sul quale si basa l’insegnamento di Nichiren Daishonin, è rivoluzionario perché ribalta quest’orientamento, capovolgendo le premesse alla base degli insegnamenti iniziali del Budda, puntando invece l’attenzione sulle infinite potenzialità della vita in sé e sulla gioia di vivere proprio in questo mondo. Laddove altri insegnamenti avevano mirato all’Illuminazione o all’emancipazione finale (Buddità) come a una meta da raggiungere in un imprecisato momento nel futuro, negli insegnamenti del Sutra del Loto ogni individuo è intrinsecamente e originariamente un Budda. Attraverso la pratica buddista sviluppiamo le nostre qualità illuminate e le esercitiamo nel mondo qui e ora, per il bene degli altri e con l’intento di trasformare positivamente la società. La vera natura della nostra vita è di libertà e potenzialità infinite ora. Questo sensazionale cambiamento di direzione, compiuto dal Sutra del Loto, è racchiuso nel concetto chiave, apparentemente paradossale, del Buddismo di Nichiren Daishonin secondo cui “i desideri terreni sono Illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. L’immagine del puro fiore di loto che sboccia nello stagno fangoso è una metafora che racchiude questa visone: libertà, emancipazione, Illuminazione vengono forgiate ed espresse nel bel mezzo del sudicio pantano della vita, con i suoi problemi, sofferenze e contraddizioni. È impossibile vivere senza attaccamenti o eliminarli: l’affetto per gli altri, il desiderio di riuscire negli sforzi fatti, gli interessi, le passioni, l’amore per la vita, tutti questi sono attaccamenti e potenziali fonti di delusione e sofferenza, ma sono anche la sostanza stessa della nostra umanità e gli elementi per una vita impegnata e realizzata. (sito I.B.I.S.)

mercoledì 18 settembre 2013

LO STUDIO

Nell’insegnamento di Nichiren Daishonin lo studio delle sue scritture e dei principi buddisti è un aspetto fondamentale della pratica individuale: «Impegnati nelle due vie della pratica e dello studio – afferma il Daishonin. – Senza pratica e studio non può esservi Buddismo. Devi non solo perseverare tu, ma anche insegnare agli altri. Sia la pratica che lo studio sorgono dalla fede. Insegna agli altri come meglio puoi, anche una sola frase o una sola parola». Lo studio del Buddismo non ha come scopo un “sapere” fine a se stesso, quanto piuttosto una coerente e costante applicazione e sperimentazione dei principi teorici nella vita quotidiana. Obiettivo della pratica buddista è l’ottenimento della Buddità per sé e per gli altri attraverso un processo di trasformazione – la rivoluzione umana – che parte da se stessi per arrivare alla propria comunità, riconoscendo e rispettando la potenziale Buddità presente in ogni forma di vita. Lo studio è la bussola che guida questo cammino ma, come scrive Nichiren Daishonin: «Non pensare mai che qualcuno degli ottantamila sacri insegnamenti di Shakyamuni o qualcuno dei Budda o bodhisatttva delle tre esistenze e delle dieci direzioni sia al di fuori di te. La pratica degli insegnamenti buddisti non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte a meno che tu non percepisca la vera natura della tua vita». (sito I.B.I.S.G )

LA PREGHIERA

Nella pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin la preghiera ha un’importanza centrale. Gli appartenenti alla Sgi raccontano esperienze riguardo il “pregare dal profondo del cuore”. Parlano anche di “risposta” alle loro preghiere. Che cosa intendono con tali affermazioni? Il Dizionario italiano Devoto Oli definisce la preghiera come: «Testo, parola o pensiero mediante cui il devoto si rivolge alla divinità». In cosa concorda la cultura buddista della preghiera rispetto a questa definizione, e in quali aspetti si distingue? Sembra che l’umanità si sia dedicata a qualche forma di “preghiera” fin dagli albori della specie. Man mano che l’essere umano sviluppava la consapevolezza della propria impotenza di fronte alle forze della natura, alla precarietà dell’esistenza e alla mortalità, cominciò a esprimere intensamente sentimenti di supplica, lode o ringraziamento. Il presidente della SGI Daisaku Ikeda ha scritto che la religione si è sviluppata a partire dalla preghiera, e che l’idea e l’atto della preghiera precedono la forma stessa che le diverse tradizioni religiose hanno dato, di volta in volta, a questa azione primordiale dell’essere umano. Anche la preghiera buddista può essere considerata come un’espressione concentrata di questi stessi sentimenti di aspirazione, ricerca e apprezzamento. Si distingue, però, per il fatto che il Buddismo colloca il “divino” all’interno della vita del singolo praticante. Lo scopo fondamentale della preghiera buddista è dunque quello di risvegliare le innate capacità interiori di forza, coraggio e saggezza e non invocare forze o divinità esterne. Inoltre, come in molte pratiche spirituali orientali, è anche importante un’espressione “fisica” della preghiera che, per i praticanti del Buddismo di Nichiren, si concretizza nella lettura – mattina e sera – di due parti del Sutra del Loto e nella recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, il nome della Legge mistica che sta alla base della vita stessa e che Nichiren ha preso dal titolo del Sutra del Loto. Il fatto che la recitazione sia intonata sonoramente esprime il concetto che nel Buddismo di Nichiren Daishonin la preghiera non è puramente una meditazione rivolta all’interno della propria vita, ma un atto che rende manifeste delle qualità interiori potenziali, facendole apparire nel mondo reale. I buddisti rivolgono la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo a un oggetto di culto, il Gohonzon: questo è un mandala, cioè una rappresentazione simbolica dello stato ideale di Buddità, o Illuminazione, in cui tutte le tendenze e gli impulsi della vita – dai più bassi o degradati ai più alti o nobili – agiscono in armonia per realizzare felicità, creatività e saggezza. Il Gohonzon non è un “idolo” o un “dio” da supplicare o da ingraziarsi, ma uno strumento per riflettere e un catalizzatore per un positivo cambiamento interiore. I buddisti della Soka Gakkai vengono incoraggiati a esprimere le proprie preghiere in forma specifica e concreta, focalizzata su problemi, speranze o preoccupazioni che essi affrontano nella vita quotidiana. Il Buddismo del Daishonin – in particolare – evidenzia l’inseparabilità dei “desideri terreni” dall’Illuminazione. Nichiren ha affermato infatti che “bruciando” la “legna” dei nostri desideri attraverso l’azione della preghiera, riusciamo a sviluppare la “fiamma” di una rinnovata energia e la “luce” della nostra saggezza. La preghiera buddista rappresenta quindi il processo attraverso il quale i desideri e le sofferenze vengono trasformati in compassione e saggezza. Questo percorso implica una riflessione su di sé, e passa necessariamente attraverso il confronto – talvolta doloroso – con le proprie tendenze negative più radicate. «La pratica degli insegnamenti buddisti – scrive Nichiren Daishonin – non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte a meno che tu non percepisca la vera natura della tua vita. Se cerchi l’Illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno un centesimo». I praticanti, inoltre, sono incoraggiati a legare strettamente la preghiera con le azioni e il comportamento nella vita quotidiana. La preghiera è sincera solo se coerente con l’azione. Per trasformare concretamente la propria vita è necessario quindi attivare determinazione e preghiera, impegno e sincerità. Secondo l’insegnamento del Daishonin, attraverso la recitazione di Nam-myo-renge-kyo si può attivare la condizione vitale più elevata: la “natura di Budda”. Questo potenziale – presente in ogni forma di vita – è la stessa Legge mistica che permea l’intero infinito universo. La preghiera è il costante processo di riallineare le nostre singole vite (“piccolo io”) con tutti i loro impulsi e desideri, con il ritmo dell’universo vivente (“il grande io”). Durante questo percorso, definito anche “rivoluzione umana”, vengono attivate pienamente capacità – fino ad allora poco utilizzate o del tutto inespresse – quali conoscenza di sé, saggezza, vitalità e perseveranza. E poiché nella filosofia buddista non esiste separazione tra il mondo interiore degli esseri umani e il loro ambiente, i cambiamenti che avvengono dentro di noi si riflettono anche fuori di noi, nelle situazioni esterne. Sperimentare una “risposta” alle preghiere è il risultato concreto e visibile di questo processo. Daisaku Ikeda ha scritto che la forma più alta di preghiera è il voto di contribuire alla felicità degli altri e allo sviluppo di una convivenza pacifica sul pianeta. Questo voto, e le azioni che ne conseguono, armonizzano profondamente le nostre vite con l’infinita vita dell’universo e fanno emergere il nostro io più elevato e nobile. (sito I.B.I.S.G)

martedì 17 settembre 2013

KOSEN-RUFU:LA REALIZZAZIONE DELLA PACE

Il termine giapponese kosen-rufu esprime un concetto di fondamentale importanza per i membri della Soka Gakkai. Spesso viene tradotto come “pace nel mondo”, intesa però in senso più vasto della semplice “assenza di guerre”. Si potrebbe definire come pace omnicomprensiva, ottenuta attraverso un radicale cambiamento nel cuore delle persone grazie alla diffusa adozione di valori umanistici quali – prima di ogni altro – l’assoluto rispetto per la dignità della vita. L’espressione kosen-rufu ha un’origine antica e appare nel ventitreesimo capitolo del Sutra del Loto, Precedenti vicende del bodhisattva Re della medicina. In un brano del capitolo si legge: «Dopo la mia estinzione, nell’ultimo periodo di cinquecento anni, dovrai diffonderlo in tutto Jambudvipa e non permettere mai che la sua diffusione sia interrotta». L’espressione «dovrai diffonderlo [il Sutra del Loto]» viene resa da Nichiren Daishonin con il termine kosen-rufu. I quattro ideogrammi che compongono l’espressione significano: ko “ampiamente”, sen “dichiarare”, ru “corrente dell’acqua” e fu “tessuto” costituito dalla trama e dall’ordito. Kosen indica quindi l’azione di far conoscere ampiamente la Legge mistica, mentre rufu indica la diffusione come flusso incessante che scorre nella vita quotidiana delle persone e nelle relazioni sociali. Poiché, secondo la visione buddista, la Legge mistica è la Legge della vita che permette alle persone di diventare felici consentendo di manifestare il loro più grande potenziale, la Buddità, ed è quindi il motore del progresso degli esseri umani e della società, agire per realizzare kosen-rufu significa impegnarsi nella costruzione di una società pacifica e felice. Il Daishonin decise da solo e spontaneamente di realizzare kosen-rufu nel mondo, spinto dalla compassione per tutti gli esseri umani, sicuro che molti l’avrebbero seguito. «Dapprima solo Nichiren – scrive in una sua lettera – recitò Nam-myoho-renge-kyo, ma poi due, tre, cento lo seguirono, recitando e insegnando agli altri. La propagazione si svilupperà così anche in futuro. Non vuol dire ciò “emergere dalla terra”? Infine, al tempo in cui la Legge si diffonderà ampiamente [il tempo di kosen-rufu, n.d.r.] l’intero paese del Giappone reciterà Nam-myoho-renge-kyo; questo è certo come una freccia che, puntata verso terra, non può mancare il bersaglio». Kosen-rufu dunque implica un modo di avvicinarsi alla pratica buddista profondamente calato nelle questioni sociali e secolari. Nichiren Daishonin si distingueva dai buddisti suoi contemporanei perché poneva l’accento su kosen-rufu: in quest’ottica, la felicità individuale, o Illuminazione, è indissolubilmente collegata alla pace e alla felicità dei nostri simili e della società nel suo complesso. Egli rifiutava l’idea che l’Illuminazione fosse qualcosa da coltivare come una virtù privata, interiore. Allo stesso modo rifiutava l’idea che il vero obiettivo del Buddismo fosse di accumulare ricompense per l’aldilà. Questi due concetti – secondo il Daishonin – avevano in comune una sorta di rassegnazione riguardo alla capacità di superare la sofferenza e trasformare positivamente la società, un’inaccettabile distorsione dell’idea chiave del Buddismo secondo cui le persone possono realizzare la vera felicità nel posto in cui vivono. Entrambi gli approcci erano dunque bersaglio delle sue aspre critiche. Secondo Nichiren, l’Illuminazione non è tanto un obiettivo in sé, quanto la base per un’ulteriore azione compassionevole. Lo stato vitale di Buddità viene dunque espresso, mantenuto e rafforzato attraverso azioni dirette a contribuire al benessere e alla felicità delle altre persone. L’enfasi di Nichiren su kosen-rufu rifletteva anche la sua visione del tempo: vigeva la convinzione che la storia fosse entrata nel periodo “dell’Ultimo giorno della Legge” (giapp. mappo). Era stato predetto, infatti, che – a partire da 2000 anni dopo la morte del Budda Shakyamuni (da qui l’affermazione "nel quinto periodo di cinquecento anni dopo la mia morte" sopra citata) – ci sarebbe stato un periodo in cui gli insegnamenti del Budda avrebbero perso il potere di condurre le persone all’Illuminazione. I calcoli effettuati dai buddisti giapponesi avevano collocato l’inizio dell’Ultimo giorno della Legge nel 1052. L’arrivo di quest’epoca così temuta fu accolto con grandissima preoccupazione. La natura degenerata dell’epoca e il fallimento della legge buddista sembravano confermati dagli eventi. Nel 1221, per esempio, (un anno prima della nascita di Nichiren), un imperatore aveva cercato di rovesciare il governo dei samurai mobilitando le sette buddiste istituzionali a pregare per la sua vittoria. Ma fu sconfitto e passò il resto della sua vita in esilio. Nell’immaginario popolare, ciò rappresentava una sconfitta impensabile per l’autorità secolare dell’imperatore e quella religiosa del Buddismo di stato. Violenti disastri naturali, agitazioni politiche, carestie e pestilenze continuarono a susseguirsi in tutto l’arco della vita del Daishonin, confermando la sua visione dell’epoca. Ma Nichiren, contrariamente a molti dei suoi contemporanei, non considerava l’Ultimo giorno come un’epoca di rassegnazione a sofferenze inevitabili. Concentrava invece la sua attenzione su quei brani del Sutra del Loto nei quali si prediceva che sarebbe stata l’epoca in cui il Buddismo avrebbe ripreso nuova vita e si sarebbe diffuso ampiamente a beneficio della gente. Piuttosto, vedeva l’Ultimo giorno come un’epoca in cui la ricerca della sola felicità individuale non era più un’opzione praticabile: l’unica strada per la felicità era sfidare direttamente le cause prime dell’infelicità che affliggeva tutte le persone e la società nel suo complesso. Naturalmente kosen-rufu non indica la conversione di tutti gli abitanti della terra al Buddismo del Daishonin. Poiché le vite di tutte le persone sono collegate nel profondo, un cambiamento radicale di un individuo avrà un effetto positivo su tutti coloro con cui entra in contatto, soprattutto con quelli con cui condivide un forte legame. Daisaku Ikeda scrive: «La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità». «Ciò che conta – scrive ancora Ikeda – è che lo spirito della grande filosofia di pace che il Sutra del Loto espone quando spiega che tutte le persone sono Budda sia pienamente applicato alla società nel suo complesso. […] Significa far sì che il fondamento e la forza propulsiva della società siano i concetti di dignità umana e sacralità della vita». In questo senso, kosen-rufu si realizza a partire dal cambiamento di ogni singola persona, una trasformazione che avviene attraverso il continuo sforzo di avvicinare la propria intenzione, il proprio comportamento e le proprie azioni a quelle del Budda. Questa è la via della rivoluzione umana, attraverso la quale è possibile costruire pace e felicità durature. E poiché le azioni del Budda sono tutte volte alla realizzazione del suo grande desiderio («Come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda»), contribuire a kosen-rufu consiste nell’incessante impegno di risvegliare tutte le persone al senso del loro infinito potenziale o Buddità. Kosen-rufu non è un obiettivo finale, un capolinea: la sua essenza è tutta contenuta nel processo e nelle azioni finalizzate alla sua realizzazione, e non implica la fine di tutti i conflitti e delle contraddizioni della società. Piuttosto, si può pensare a kosen-rufu come alla costruzione di un mondo in cui un profondo e diffuso rispetto per la vita sia la base per affrontare e risolvere in modo pacifico e creativo tutti i conflitti. Inoltre, non è un tempo da attendere passivamente, ma una condizione che si può cominciare a realizzare proprio ora, nelle nostre comunità (sito I.B.I.S.G ) .

LA GIOVINEZZA

Il Buddismo affronta la realtà delle “quattro sofferenze” di nascita, invecchiamento, malattia e morte ma, come commenta il presidente della Soka Gakkai Internazionale Daisaku Ikeda, «È importante ricordare che invecchiare e andare avanti negli anni non significano necessariamente la stessa cosa...Ci sono sicuramente molte persone che, col passare degli anni, diventano più vigorose ed energiche, più aperte e tolleranti, e vivono con maggiore sicurezza e libertà». Queste persone rimangono giovani, sviluppando e mantenendo la speranza, l’entusiasmo, l’ottimismo e la lungimiranza, dimostrando di non aver perso lo smalto col passare degli anni. Invece, purtroppo, ci sono persone persino più giovani che hanno già perso la speranza e sembrano invecchiate prima del tempo. Forse, suggerisce Ikeda, per essere veramente giovani è necessario ripartire e rideterminare con freschezza, ogni volta, fino all’ultimo istante di vita. Nel Sutra del Loto troviamo l'insegnamento necessario per sperimentare quest’espansione, o “estensione”, della nostra vita: impegnarsi per il benessere e la felicità degli altri. Il Sutra del Loto è assolutamente unico fra le scritture buddiste, assicura a chi lo mette in pratica che potrà trovare vita e giovinezza eterne e che la felicità si trova affrontando e superando le prove e le sfide della vita reale, non in un qualche paradiso dopo la morte. Sviluppando e approfondendo la compassione per gli altri, è possibile ottenere uno stato vitale interiore che tocca l’eternità e sembra trascendere la morte. Shakyamuni descrive le caratteristiche della sua illuminazione come uno stato eterno e durevole di costante vitalità e ringiovanimento: il suo desiderio è che tutti possano sperimentare una condizione vitale così elevata. La questione allora è: come possiamo ottenere lo stesso stato vitale eternamente giovane e vitale? Il Sutra del Loto offre il modello del Bodhisattva Mai Sprezzante che, con il suo atteggiamento di rispetto, cercava di risvegliare le persone che incontrava alla loro innata natura di Budda, anche se veniva schernito e vilipeso per quest'azione. Attraverso tale comportamento egli ottenne la condizione illuminata del Budda. La stessa condizione possiamo raggiungerla impegnandoci personalmente e compiendo azioni per la felicità degli altri e nostra. Nichiren Daishonin, che nel 13° secolo fondò il suo insegnamento buddista basato sul Sutra del Loto – oggi praticato dai membri della SGI – riteneva che il desiderio di contribuire alla propria felicità e a quella degli altri fosse un desiderio fondamentale che tutti condividiamo a un livello più profondo: desiderio che i nostri problemi e preoccupazioni non ci permettono di percepire. Quando ci impegniamo con tutto il cuore per “ricordare” o riportare alla coscienza questo voto o desiderio profondo e ci sforziamo di dare il nostro contributo, possiamo far sgorgare dalla nostra vita risorse prima sconosciute: coraggio, saggezza e compassione, in altre parole la Buddità. Ciò non significa che la nostra vita fisica si debba necessariamente allungare, vuol dire che quando ci risvegliamo e ci sintonizziamo su questa profonda compassione, la qualità della nostra vita si innalza così tanto che in un singolo istante può scaturire un’immensa gioia e siamo pervasi da energia e vitalità infinite. Grazie a questo risveglio, le persone che prima erano schiacciate dal peso della sofferenza possono cominciare a vivere in una prospettiva di autodeterminazione, con compassione e creatività. È questo, e non il semplice e spesso passivo passare dei giorni o degli anni, ciò che il Buddismo intende per uno stato vitale in cui si può godere di eterna giovinezza. (dalla rivista SGI Quarterly ottobre 2009)

lunedì 16 settembre 2013

TSUNESABURO MAKIGUCHI (PRIMO PRESIDENTE DELLA SOKA GAKKAI)

Tsunesaburo Makiguchi Primo presidente della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) fu un educatore riformista, scrittore e filosofo che nel 1930 fondò la Soka Kyoiku Gakkai (Società educativa per la creazione di valore), antesignana della Soka Gakkai. Come insegnante si sforzò di introdurre un approccio all’educazione di tipo più umanistico incentrato sulla figura dello studente. Si oppose strenuamente alle pratiche educative basate sulla coercizione e sulla corruzione, e per questo fu costretto a ritirarsi precocemente. In seguito venne imprigionato per essersi opposto alle politiche del regime militarista giapponese. Morì in carcere di stenti all’età di settantatre anni. Recentemente le sue teorie pedagogiche sono diventate oggetto di crescente interesse internazionale. La teoria pedagogica L’interesse principale di Makiguchi era di riformare il sistema educativo dell’epoca che, a suo avviso, scoraggiava il pensiero indipendente e soffocava la creatività e la felicità degli studenti. Egli credeva che l’educazione dovesse essere al servizio della felicità degli studenti e non rispondere ai bisogni dello stato. Le sue idee educative e la sua teoria della creazione di valore (soka) che sottendono alla sua pedagogia vennero sistematizzate in un lavoro pubblicato nel 1930 con il titolo Soka Kyoikugaku Taikei (Teoria per una pedagogia per la creazione di valore, tradotto in parte in italiano con il titolo L’educazione creativa). La visione di Makiguchi contraddiceva completamente la logica del governo militarista, che tendeva a utilizzare l’educazione per forgiare servitori dello stato obbedienti e passivi. LA RIVOLUZIONE RELIGIOSA Nel 1928, all’età di cinquantasette anni, Makiguchi incontrò il Buddismo di Nichiren trovando in esso una profonda visione della vita di tipo olistico che si accordava perfettamente col proprio pensiero. Due anni dopo, insieme al suo giovane collega Josei Toda, fondò la Soka Kyoiku Gakkai. Formata inizialmente da un esiguo gruppo di insegnanti che si dedicavano alla riforma dell’educazione, la Soka Kyoiku Gakkai si trasformò a poco a poco in un’organizzazione con una base più allargata, finalizzata alla propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin. Infatti Makiguchi e Toda erano sempre più convinti che l’insegnamento di Nichiren, con la sua enfasi sulla trasformazione della società attraverso la trasformazione dell’individuo, fosse il mezzo per raggiungere quella fondamentale riforma sociale che stavano cercando di realizzare attraverso la rivoluzione del sistema educativo. L'ARRESTO Nel frattempo, per guadagnare consenso popolare alla sua campagna in favore della guerra, il governo giapponese impose come religione di stato lo shintoismo, caratterizzato da una mitologia e un’ideologia incentrata sul culto dell’imperatore, inasprendo gli atteggiamenti di intolleranza verso i dissidenti. Makiguchi si oppose fermamente a queste azioni repressive. Nel 1943 Makiguchi e Toda, insieme ad altri diciannove responsabili della Soka Kyoiku Gakkai, vennero arrestati e imprigionati. Nel 1944 Makiguchi morì in carcere, rifiutandosi fino alla fine di rinnegare i suoi principi ( sito I.B.I.S.G)

domenica 15 settembre 2013

SAGGEZZA

Il Budda è rappresentato come un essere umano dotato di profonda saggezza e l’idea di saggezza è centrale nel Buddismo. Ma allo stesso tempo il concetto stesso di saggezza può risultare vago e inafferrabile. Come si diventa saggi? La saggezza è qualcosa che si può sviluppare attivamente, o si deve solo aspettare di acquisirla man mano che si va avanti con l'esperienza e con l’età? E ancora: “conoscere” significa avere “saggezza”? Josei Toda, il secondo presidente della Soka Gakkai, affermò che la confusione tra conoscenza e saggezza è uno degli errori più grandi della società moderna. Egli paragonava il rapporto tra conoscenza e saggezza a quello tra una pompa e l’acqua. Una pompa che non tiri fuori acqua (cioè conoscenza senza saggezza) serve a ben poco. Con ciò non voleva negare l’importanza della conoscenza, ma chiarire che la conoscenza può essere utilizzata per generare sia un’enorme distruzione sia un profondo bene. Quando la saggezza agisce nella nostra vita ci mette in grado di superare il limite del nostro pensiero abituale per farci approdare a una prospettiva inedita e olistica di ogni situazione. Diventiamo capaci di dare una valutazione ampia dei fatti e di percepire l’essenza di una questione prendendo così una direzione sicura verso la felicità. Il Buddismo, inoltre, paragona la saggezza a uno specchio limpido che riflette perfettamente la realtà così com’è. Ciò che viene riflesso nello specchio della saggezza è il legame e l’interdipendenza della nostra vita con il tutto. Questa saggezza disperde le illusioni che provocano separazione e ci risveglia a un senso di empatia con tutti gli esseri viventi. Ciò che fa emergere la saggezza nella vita individuale è la compassione: secondo il Buddismo infatti l’universo e la vita stessa sono manifestazioni della compassione che, intrecciando i fili di tutti i fenomeni interdipendenti, favorisce e nutre la vita in ogni sua diversa, prodigiosa manifestazione. Lo scopo della vita umana, dunque, è quello di partecipare attivamente al compassionevole funzionamento dell’universo, arricchendo e intensificando il dinamismo creativo della vita. Agendo con compassione, l’esistenza individuale si accorda con la forza vitale universale e così riusciamo a manifestare la nostra inerente saggezza. L’azione di incoraggiare e sostenere gli altri ci risveglia a un’identità più grande e libera, che supera i ristretti confini dell’ego. Saggezza e compassione sono quindi inseparabili. Centrale alla pratica buddista è il dominio di sé, lo sforzo di “diventare padroni della propria mente”. Quest’idea significa che più profondamente lottiamo per sviluppare uno spirito altruistico, più emerge in noi la saggezza del Budda e più facilmente possiamo quindi guidare ogni aspetto della vita (il nostro sapere, i nostri talenti e le nostre peculiarità caratteriali) verso il fine di creare felicità per noi stessi e per gli altri. Parlando all’Università di Tribhuvan in Nepal nel 1995, Daisaku Ikeda, ha affermato: «Essere padroni della propria mente significa coltivare la saggezza che abbiamo nei più intimi recessi delle nostre vite, che emerge copiosamente solo quando siamo mossi da una compassionevole determinazione al servizio dell’umanità». È l’essere umano stesso che deve cambiare per far sì che la storia di noi umani e di quanto ci circonda, invece di essere dominata dalla separazione e dal conflitto, sia re-indirizzata verso la pace, seguendo l’implicita etica del rispetto per la sacralità di ogni forma di vita. La comprensione buddista della saggezza compassionevole può fornire una forte base per tale trasformazione. (SITO IBISG)

NON DUALITA' DI MAESTRO E DISCEPOLO



In qualsiasi campo, una persona che aiuta un’altra a crescere e a evolversi può essere considerata un maestro. Nel Buddismo, che si occupa della felicità e dello sviluppo dell’essere umano, la relazione maestro-discepolo è essenziale. Il fondamento di questa relazione si trova nell’impegno condiviso a collaborare per la felicità delle persone, allo scopo di liberarle dalla sofferenza.
Il Sutra del Loto, la scrittura su cui si basa il Buddismo di Nichiren Daishonin, contiene una vivida descrizione allegorica del momento in cui i discepoli del Budda si assumono quest’impegno. Il sutra descrive come, mentre il Budda Shakyamuni sta predicando, la terra si apra e da essa emerga una moltitudine di splendidi bodhisattva (individui che hanno scelto l’agire compassionevole a fondamento del loro essere). Questi cosiddetti “Bodhisattva della Terra” sono fermamente risoluti a mantenere vivi gli insegnamenti di Shakyamuni dopo la sua morte, nella difficile e corrotta epoca a venire. Essi fanno voto di dedicare la vita a salvare le persone dalla sofferenza in un’epoca di forti conflitti sociali e spirituali, affrontando a testa alta qualsiasi avversità possano incontrare.
Questa superba descrizione, quasi cinematografica, ritrae la profondità dell’impegno, condiviso dal maestro e dal discepolo, di lavorare sempre, in ogni tempo per la felicità della gente. È una metafora della trasformazione dei discepoli del Budda da ricettori passivi dell’insegnamento a persone impegnate ad avanzare lungo il cammino dell’agire compassionevole di cui il Budda è stato pioniere.
Definire il cammino
Il Buddismo è una filosofia che ha come finalità l’empowerment (risvegliare le persone alla loro dignità, al loro potenziale alla speranza). La sua premessa centrale è che ognuno possiede la capacità innata di trionfare su qualsivoglia circostanza avversa, di superare qualsiasi fonte di sofferenza, trasformandola in una sorgente di forza e di crescita. È una filosofia basata sulla convinzione che nella vita di ognuno, in qualsiasi istante, esista un’inesauribile riserva di coraggio, saggezza e forza vitale creativa.
Il maestro mira a rendere consapevoli i suoi discepoli, siano essi uomini o donne, del loro potenziale, infondendo loro fiducia nelle infinite potenzialità che non riescono a riconoscere in se stessi. È la stessa vita del maestro, e non soltanto il suo insegnamento, che fornisce l’ispirazione. L’ideale astratto dell’Illuminazione diviene tangibile nel carattere e nelle azioni del maestro.
La vita stressa del maestro s’incentra sull’empowerment degli altri, diventando un modello del fatto che tutti possiamo realizzare il massimo potenziale di felicità attraverso le nostre azioni per gli altri. Come scrive il presidente della SGI Daisaku Ikeda: «La felicità e l’Illuminazione per sé e per gli altri: un vero maestro nel Buddismo è colui che ci consente di tenere sempre presente questa aspirazione». Il sentiero tracciato dal Buddismo per sviluppare la propria umanità – il cammino dell’Illuminazione – sta nel difficile equilibrio fra la lotta per crescere e svilupparsi come individui, confrontandosi coraggiosamente con le proprie sfide e, contemporaneamente, l’agire per il bene degli altri. In un momento critico d’indecisione, pensare all’esempio del maestro può farci intraprendere un passo coraggioso e quindi superare i nostri limiti. L’insegnamento e l’esempio del maestro aiuta il discepolo a continuare a progredire sul difficile cammino dell’Illuminazione – difficile per via delle spinte fortemente destabilizzanti del cuore umano verso l’autocompiacimento, la paura, l’arroganza e la pigrizia. Il presidente Ikeda commenta: «Un maestro ci fa rendere conto delle nostre debolezze e ci aiuta ad affrontarle con coraggio».
Il fatto che il maestro rappresenti un modello di come si pratica il Buddismo non significa che il discepolo debba sforzarsi di imitarne la persona, quanto piuttosto che impari dal suo esempio, o dal suo modo di vivere, adottando quell’approccio alla vita nella propria specifica situazione esprimendosi attraverso le proprie peculiari caratteristiche. È interiorizzando lo spirito del maestro che il discepolo cresce e si sviluppa al di là dei limiti che sente di avere.
La relazione tra maestro e discepolo nel Buddismo è un coraggioso cammino di scoperta di sé e non di imitazione o adulazione. Nel Buddismo la responsabilità ultima è del discepolo. Il maestro è sempre pronto, è il discepolo che deve decidere di sforzarsi d’imparare, e si svilupperà nella misura in cui si impegnerà per assimilare e mettere in pratica gli insegnamenti del maestro.
Un vero maestro
Con quale criterio si distingue un vero maestro nel Buddismo? Prima di tutto è fondamentale il suo orientamento o motivazione, l’ideale al quale ha dedicato la sua vita. L’ideale più alto e nobile è l’impegno di rendere tutti, senza eccezione, in grado di superare le sofferenze e diventare felici. Inoltre, un vero maestro è colui che si sforza per tutta la vita di ricercare la verità e sviluppare saggezza. Questo atteggiamento è in netto contrasto con quello di chi crede di aver già imparato tutto ciò che c’è da sapere, e vuole solo dispensare la sua conoscenza in un rapporto a senso unico. Quel genere di maestro, verosimilmente, cerca anche di accrescere il proprio prestigio, oscurando la verità e trasformando la conoscenza in un privilegio, piuttosto che renderla liberamente accessibile a tutti.
Il desiderio finale di un vero maestro è di essere superato dai suoi discepoli. Questo infinito processo di crescita e successione è ciò che permette a una tradizione vivente di evolvere e adattarsi al mutare dei tempi. Nel Sutra del Loto ciò è simboleggiato dal fatto che i Bodhisattva della Terra sono di aspetto persino più splendido dello stesso Shakyamuni.
Per definire le rispettive funzioni del maestro e del discepolo si potrebbe dire che il ruolo del maestro è di puntare verso un obiettivo e mostrare i mezzi più efficaci per raggiungerlo, mentre quello del discepolo è lottare per realizzare questo ideale, su una scala ancora maggiore di quella realizzata dal maestro. L’aver condiviso un ideale e aver lottato insieme per realizzarlo crea una profonda vicinanza nelle loro vite – ciò che il Buddismo descrive come non dualità di maestro e discepolo. Questa è la linfa vitale del Buddismo e il mezzo grazie al quale si sviluppa e si trasmette, da una generazione all’altra, l’aspirazione a vivere vite pienamente realizzate rendendo gli altri in grado di fare la stessa cosa. In assenza di quest’impegno condiviso e dello sforzo, da parte del discepolo, di lottare con lo stesso spirito del maestro, il maestro diventerebbe semplicemente un oggetto di venerazione e il Buddismo perderebbe il suo potere di trasformazione.
Crescita e continuità
Il profondo legame fra maestro e discepolo, e in particolare la relazione fra i primi tre presidenti della Soka Gakkai, è ciò che ha sostenuto lo sviluppo dell’organizzazione. Ogni presidente che è succeduto ha ampliato la visione del suo predecessore, sviluppando con cura un movimento in grado di raggiungere e abbracciare le persone più diverse contribuendo al loro empowerment. Daisaku Ikeda, il presidente della SGI in carica, nel secondo dopoguerra lavorò a stretto contatto col secondo presidente Josei Toda (1900-58) per l’empowerment di milioni di giapponesi affinché potessero trasformare positivamente la loro situazione. Toda stesso fu imprigionato insieme al suo maestro, il presidente fondatore Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), per aver rifiutato di compromettere l’integrità degli insegnamenti buddisti, sotto la pressione del governo militarista giapponese. Ikeda ha ampliato e internazionalizzato la visione dell’empowerment ereditata da questi maestri, portandola ben oltre lo scopo di un’organizzazione religiosa, sviluppando un movimento globale per la promozione della pace, della cultura e dell’educazione. Ogni sua azione è stata ispirata dal desiderio di infondere negli altri la consapevolezza di quanto si può realizzare sulla base dello spirito di maestro e discepolo.
Ha espresso frequentemente la sua determinazione ad aprire nuove strade di maggiore impegno in questioni sociali e globali che potranno essere pienamente sviluppate dalle generazioni future. «La relazione maestro discepolo – scrive – può essere paragonata a quella fra l’ago ed il filo: il maestro è l’ago e il discepolo è il filo. Nel cucire l’ago fa strada attraverso la stoffa, ma alla fine non è più necessario, ed è il filo che rimane a tenere insieme il tutto». L’impegno per la felicità di tutte le persone è il cuore del Buddismo, ma è attraverso la relazione maestro discepolo, attraverso i legami da vita a vita, quando il desiderio di uno accende quello di un altro, che questo ideale esce dal regno della pura teoria e diventa realtà nella vita della gente.

IL MONDO DI COLLERA


Il desidero di imparare dagli altri e la capacità di introspezione sono le qualità che ci identificano come esseri umani, i mezzi grazie ai quali ci sviluppiamo e diventiamo più felici. Ma cosa accade quando perdiamo o trascuriamo di coltivare tali qualità? La terrificante conseguenza è quello che il Buddismo descrive come il mondo di Collera.
La parola “collera” ci fa venire in mente una persona che perde il controllo, si arrabbia o peggio si infuria, ma questa può essere la reazione naturale e a volte necessaria alle situazioni che s’incontrano; tale collera infatti potrebbe essere positiva, per esempio quando è diretta contro l’ingiustizia o l’irresponsabilità. C’è una differenza fra tutto ciò e il mondo di Collera, caratterizzato dall’ossessione verso il proprio ego, come viene descritto nella teoria buddista. La Collera è uno dei dieci stati vitali che, secondo il concetto buddista dei dieci mondi, sono inerenti a tutte le persone. Li sperimentiamo in tempi e modi diversi, a seconda della nostra risposta alle varie situazioni e in relazione all’intensità della nostra motivazione interiore a lottare per migliorare noi stessi. Essi sono: Inferno, Avidità, Animalità, Collera, Umanità, Cielo, Apprendimento, Realizzazione, Bodhisattva e Buddità.
La caratteristica principale del mondo di Collera è l’invidia, cioè il non poter tollerare l’idea che qualcuno sia in qualche modo superiore a noi, è l’ardente bisogno di sentirsi superiori agli altri, la convinzione di essere fondamentalmente migliori degli altri.
Come descrive un testo buddista: «Dal momento che coloro i quali sono nel mondo di Collera desiderano sempre essere superiori a chiunque altro e non possono sopportare di essere inferiori ad alcuno, essi sminuiscono e disprezzano gli altri ed esaltano se stessi, come un falco che vola e guarda il mondo dall’alto. Allo stesso tempo, apparentemente, cercano di mostrare le virtù di benevolenza, giustizia, correttezza, saggezza e lealtà».
Nichiren, che nel XIII secolo fondò in Giappone il Buddismo praticato dai membri della SGI, caratterizzò la Collera come “perversione” a causa del forte divario fra il mondo interiore e quello esteriore di chi è nello stato di Collera. La forte competitività viene mascherata da un comportamento virtuoso e ossequioso, studiato appositamente per suscitare quel riconoscimento da parte degli altri, così essenziale per il proprio senso di superiorità. L’aggressività delle persone in questo stato nasconde la loro insicurezza. Arroganza, disprezzo per gli altri, una vena fortemente critica e un potente impulso verso il conflitto o la competizione sono tutti aspetti attraverso cui si manifesta il mondo di Collera nella nostra vita. Le conseguenze possono essere disastrose, quando nelle sue spire vengono catturate persone in posti di potere e di autorità, o quando questo stato vitale predomina nella società. Come dice il presidente della SGI Daisaku Ikeda, a chi è in questo stato «tutto appare come un mezzo o uno strumento per realizzare i propri impulsi e desideri egoistici. In proporzione inversa alla misura di questa tronfia arroganza, l’esistenza degli altri – popoli, cultura, natura – risulta minuscola e insignificante. Perciò far del male o persino uccidere gli altri, considerati privi di ogni valore, diventa una cosa assolutamente irrilevante. È questo stato mentale che approverebbe l’uso delle armi nucleari… le persone in questo stato vitale sono cieche, non soltanto alle orrende sofferenze provocate dalle loro azioni, ma alla vita umana in sé e per sé».
Il movimento della Soka Gakkai si propone di trasformare la società attraverso la trasformazione del cuore dell’individuo, basandosi sulla comprensione delle dinamiche e delle profonde interconnessioni fra le persone, la società e l’universo stesso.
Mentre tutti lottano per essere felici, le persone nel mondo di Collera, i cui sforzi sono indirizzati nella direzione sbagliata, vengono trascinate sempre più a fondo, nella miseria e nella solitudine. Comunque, paradossalmente, la consapevolezza di sé e dell’importanza della propria vita, caratteristica del mondo di Collera, è la porta d’accesso all’empatia verso gli altri. Lo spiccato senso del proprio ego può fornire una base per comprendere quanto sia preziosa ogni vita, e per condividere quanto possa essere difficile condurre un’esistenza felice in questo mondo.
La chiave per trasformare il mondo di Collera consiste nel diventare padroni di quell’energia, un tempo rivolta a vincere sugli altri, e indirizzarla a vincere su se stessi. Si comincia semplicemente avendo l’umiltà di rispettare e ammirare ciò che è degno di lode negli altri.

LE NOVE COSCIENZE


L’insegnamento buddista definito come principio delle Nove coscienze offre la base per una comprensione totale della nostra vera identità. Aiuta inoltre a spiegare come il Buddismo vede l’eterna continuità della vita attraverso i cicli di nascita e morte.
Questo punto di vista sull’essere umano è frutto di migliaia di anni d’intense indagini introspettive sulla natura della coscienza. Storicamente si fonda sui tentativi di sperimentare e spiegare l’essenza dell’Illuminazione ottenuta circa 2500 anni fa da Shakyamuni in India.
Le nove coscienze possono essere considerate come diversi strati di consapevolezza che costantemente operano insieme per creare le nostre vite. La parola sanscrita vijnana, che viene tradotta come "coscienza", include un’ampia gamma di attività, come le sensazioni, le cognizioni e i pensieri coscienti.
Le prime cinque coscienze si riferiscono ai sensi della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del tatto. La sesta è la funzione che, identificando quanto i nostri cinque sensi ci comunicano, integra ed elabora i vari dati sensoriali per formare un quadro d’insieme o pensiero. È soprattutto attraverso queste sei funzioni vitali che conduciamo le nostre attività quotidiane.
A differenza dei primi sei livelli rivolti verso il mondo esterno, la settima coscienza è diretta verso la propria vita interiore ed è largamente indipendente dagli stimoli sensoriali. Sede del pensiero astratto, è alla base del nostro senso di identità individuale: l’attaccamento alla propria persona come un sé distinto e separato dagli altri ha la sua base in questa coscienza, così come la nostra percezione di ciò che è giusto e sbagliato. Nell’ottava coscienza – nota anche come coscienza “deposito” secondo una definizione cinese – risiede l’energia del nostro karma. La moderna psicologia la chiamerebbe inconscio: tutte le esperienze del presente e delle esistenze passate – generalmente chiamate karma – sono conservate qui. Questa coscienza accoglie gli effetti delle azioni buone e cattive, immagazzinandoli come potenzialità karmiche.
Mentre le prime sette scompaiono alla morte, l’ottava coscienza persiste attraverso i cicli di vita attiva e di latenza della morte. Può essere vista come il fluire continuo della vita che sostiene le attività delle altre coscienze. Le esperienze descritte da coloro che hanno sperimentato uno stato di morte clinica e sono tornati in vita potrebbero essere considerate esperienze al confine tra la settima e l’ottava coscienza.
La comprensione di questi livelli di coscienza e l’interazione tra di essi potrebbe far nascere importanti intuizioni sulla natura della vita e del sé, che potrebbero poi diventare indicazioni per trasformare alcuni problemi fondamentali dell’umanità.

Secondo gli insegnamenti buddisti, nella settima coscienza sono profondamente radicate alcune illusioni riguardo alla natura del sé. Queste derivano dal rapporto tra il settimo e l’ottavo livello di coscienza e si manifestano come un’istintiva tendenza all’egoismo.
Gli insegnamenti buddisti descrivono il settimo livello come emergente dall’ottava coscienza: è infatti basato sull’ottava coscienza dell’individuo, che viene percepita come qualcosa di fisso, unico e indipendente dal resto. In realtà, l’ottava coscienza scorre in un flusso continuo. A questo livello le nostre vite interagiscono costantemente con tutte le altre, esercitando una profonda influenza reciproca. Per questo motivo è falsa la percezione di un sé fisso e isolato creata dalla settima coscienza.
Nella settima coscienza risiede anche la paura della morte: l’incapacità di percepire la vera natura dell’ottava coscienza come un incessante flusso di energia vitale fa pensare erroneamente che questa coscienza scompaia con la morte.
L’illusione che l’ottava coscienza sia il vero sé e il non sentire il legame con tutti gli altri esseri viventi è definita dal Buddismo "ignoranza fondamentale". È questo senso di separazione e isolamento dagli altri che dà origine alle discriminazioni, all’arroganza distruttiva o a un’avidità sfrenata. Anche la devastazione umana dell’ambiente naturale è un’altra conseguenza gravissima di tale ignoranza.

Il Buddismo presuppone che i nostri pensieri, le parole e le azioni lascino sempre un’impronta nell’ottava coscienza: questo è ciò che i buddisti chiamano karma. L’ottava coscienza è perciò talvolta definita “deposito” del karma, il luogo dove questi “semi” karmici vengono “accumulati”. Questi semi di energia latente possono essere positivi o negativi e l’ottava coscienza rimane neutra e pronta a ricevere qualsiasi tipo di impronta karmica. L’energia diventa manifesta quando le condizioni sono mature. Le cause latenti positive si possono manifestare sia come effetti positivi nella propria vita sia come funzioni psicologiche positive quali fiducia, nonviolenza, autocontrollo, compassione e saggezza. Le cause latenti negative possono manifestarsi in varie forme di illusione e comportamento distruttivo causando sofferenze a se stessi e agli altri.

Anche se l’immagine del magazzino è efficace, sarebbe però più fedele quella di un impetuoso torrente di energia karmica. Questa energia è in costante movimento nella nostra vita e la modella improntando le nostre esperienze. I nostri pensieri e le azioni risultanti hanno a loro volta un riscontro in questo flusso karmico. La qualità del flusso karmico è ciò che ci distingue da tutte le altre persone, che costruisce il nostro peculiare sé. Il flusso di energia cambia continuamente, ma – come un fiume – mantiene la sua identità e coerenza anche attraverso i successivi cicli di vita e morte. È quest’aspetto di fluidità, quest’assenza di stabilità, che apre la possibilità di trasformare il contenuto dell’ottava coscienza. Ecco perché il karma, propriamente inteso, è diverso da un invariabile o inevitabile destino.

Il problema è quindi “come” possiamo aumentare il bilancio del karma positivo. Questa è la base delle diverse forme di pratica buddista che cercano di porre cause positive nelle nostre vite. Quando si entra in un ciclo di cause ed effetti negativi, però, è difficile non produrre ulteriori cause negative, ed è qui che possiamo rivolgerci al più fondamentale livello di coscienza, la nona.
Essa può essere considerata come la vita stessa dell’universo. Viene anche definita la coscienza fondamentalmente pura. Questa coscienza non viene influenzata dal karma, e rappresenta il nostro vero eterno sé. L’aspetto rivoluzionario del Buddismo di Nichiren Daishonin consiste nel fatto che mira ad attingere direttamente dall’energia di questa coscienza – la natura illuminata del Budda – purificando in questo modo gli altri livelli più superficiali. Il grande potere della nona coscienza può far scaturire cambiamenti anche dal karma negativo più radicato nell’ottava coscienza. Poiché l’ottava coscienza trascende i confini dell’individuo, fondendosi con l’energia latente della propria famiglia, gruppo etnico, e anche con quella di animali e piante, un cambiamento positivo in questa energia karmica diventa un “ingranaggio” per agire in modo benefico anche nelle vite altrui.
Come scrive il presidente Ikeda: «Quando attiviamo questa coscienza assolutamente pura, l’energia di tutto il karma buono e cattivo della vita è diretto verso la creazione di valore; e la mente o coscienza dell’umanità viene pervasa dalla corrente vitale di compassione e saggezza». Il Daishonin identificò la pratica della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo come il mezzo fondamentale per attivare la nona coscienza nell’esistenza di ogni persona.
Quando i primi otto livelli di coscienza si trasformano grazie all’azione del nono, ognuno di essi dà vita a forme uniche di saggezza. La saggezza inerente all’ottava coscienza ci permette di percepire noi stessi, la nostra esperienza e altri fenomeni con grande chiarezza e di apprezzare profondamente i legami e l’interdipendenza di tutte le cose.
Quando le illusioni radicate nella settima coscienza vengono trasformate, l’individuo diventa capace di superare la paura della morte, come anche l’aggressività e la violenza che da essa derivano. Sorge quindi una saggezza che percepisce la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri viventi e l’eguale rispetto da attribuire ad ogni singola entità vivente.
È proprio di questa saggezza di cui c’è assolutamente bisogno al giorno d’oggi nel mondo.